Il primo romanzo di Maria Grazia Calandrone (Splendi come vita, Ponte alle Grazie, pp. 224, euro 15,50) si dispiega intorno a due genealogie, una mancante per la morte dei genitori biologici, l’altra ricevuta dalla famiglia adottiva. In questo doppio, vicinanza e assenza, sono due segni potenti, di cui il secondo è ombra dell’altro. La passione per la genealogia del resto, va oltre il soggettivo, si fa sempre incontro con la storia, riconquista di un’appartenenza.

È la madre adottiva la figura centrale di questo narrare e interrogarsi sull’amore, sulla crescita personale, sulla devastazione di un femminile caparbio, ma fragile e su come il dolore può trasformare la forza in attrito e la tenerezza in un dubitare che oscura i lineamenti stessi di ciò che gli altri sono; perché questo libro è anche un breviario della solitudine, di un feroce mancarsi in cui nessuna parola è salvezza.

INTERVALLATI ALLE PAGINE dei vari capitoli ci sono fotografie, disegni e articoli di giornali e riviste da cui possiamo apprendere come la bambina Maria Grazia si sia trovata orfana e quindi affidata a una coppia, che poi la adotterà. Avrà una famiglia, con due persone che la amano e le portano in dote, anche se subito lei non lo saprà, un mondo di ideali, di solidarietà e condivisione. Entrambi sono comunisti, lui deputato e giornalista, lei insegnante. L’autrice li designa, quasi sempre, come Padre e Madre, con la maiuscola. In questo vi è anche un desiderio di oggettività molto forte, che rivela ancora di più il suo tenerseli accanto, il non averli mai abbandonati.

È un linguaggio essenziale quello di Splendi come vita, frasi che si susseguono rapide e diventano i tasselli di una storia fatta di luce e sangue. Se Joan Didion in Blue nights ci aveva detto molto sullo shock di chi si scopre figlia adottiva e del cedere, per tutto questo, a una depressione senza uscita, Calandrone racconta di un trauma rovesciato. Qui è la madre adottiva che rivelando l’adozione alla bambina, ne ha la vita sconvolta. Da quel momento il demone del dubbio, di non essere lei amata come una vera madre, la accompagna fino a snaturare quel rapporto luminoso che la stessa fotografia di copertina rivela, fino a farsi prima severissima e puritana figura genitoriale e poi figlia che scappa davanti alla malattia della sua stessa madre; madre-nonna a cui si affidava e in cui credeva.

GLI ANNI SETTANTA e i primi anni ottanta sono lo sfondo di gran parte del libro e ritroviamo il tempo di una famiglia italiana, della crisi che divide una coppia, dell’affetto che vive nonostante le strade si separino e dei mille rivoli in cui si disperde un’esistenza fatta di lavoro, scuole, pochi amici, poche conquiste e di un’intimità che si sente minacciata. È una donna sofferente di troppa vita, non vissuta o delusa, quella che la figlia ha davanti e che non avendo altra forza che il dolore si ritira davanti agli affetti più forti e sembra estromettersi dal mondo.
Resisterà comunque, sopra ogni cosa, la traccia di un accudimento. Nel privato con l’accompagnare il più a lungo possibile, pur essendo malata, la bambina che le piacque subito e strappò all’orfanotrofio. Nel pubblico rivendicando il percorso politico suo e del marito.

A ItaliaRadio l’emittente del Partito che la intervistava, mentre spariva il Partito Comunista Italiano rispose: «Mio marito, Giacomo Calandrone, prima di morire mi raccomandò di far scrivere sulla pietra del suo loculo una sola parola: “Comunista”. Non me lo permisero allora le autorità, oggi i compagni vogliono cancellare quella parola. Ricordo con dolore e amarezza i compagni fucilati davanti alle fabbriche, i trentasei sindacalisti massacrati in Sicilia, le prigioni di Scelba».

L’ALTRA LUCE nella vita di questa donna fu la sua isola, la Sicilia, col suo mare, i suoi colori e gli odori. Un’isola a cui non saprà o non vorrà tornare e che nel ricordo diventa tutta la terra di cui ha bisogno e di cui ha sognato il riscatto. Nel suo lento declino saprà ritrovare allegria e ironia e alcune schegge del troppo amore ferito, scagliato via, ripreso.
Se i vuoti materni non si possono riempire, la vita regala figure che diventano i testimoni illuminati di un percorso. L’autrice li incontrerà nel suo cammino dentro un mondo difficile, ma che le offre esperienza.

Saranno sorelle maggiori per un tratto di strada la giovane ragazza del barcone sul Tevere, l’attrice che le dà copioni da leggere e che accompagnerà per un po’ sui vari set e i vicini che la proteggono senza essere invadenti. In ogni storia il coro è l’elemento in più che dà una luce diversa al tempo e una profondità allo spazio, dove l’esserci non è solo radici, ma costruire per se stessi e per chi amiamo un abitare la vita al di là di tutto.