«Non so a chi o a cosa il ministro si riferisca, nessuno di noi ha mai fatto un passo indietro nel gestire l’emergenza immigrazione né ha intenzione di farlo. Il nostro non era un grido di dolore, anzi. Abbiamo detto al governo: stiamo attenti, perché la diatriba politica sta facendo scatenare delle rivolte sociali». Il prefetto Claudio Palomba è il presidente del Sinpref, il maggior sindacato dei prefetti. Due giorni fa ha lanciato l’allarme parlando del malessere che circonda i suoi colleghi, bersagliati ormai quotidianamente da insulti sempre più pesanti. E nonostante questo impegnati in prima linea nel gestire l’accoglienza profughi. Parole, le sue, alla quali ieri il ministro degli Interni Angelino Alfano ha risposto garantendo ai prefetti la solidarietà del governo ma aggiungendo anche parole suonate male alle orecchie di chi rappresenta lo Stato sul territorio: «Se c’è qualcuno che si spaventa, non regge l’urto o non ce la fa – ha detto -, faccia un passo indietro o lo sostituiamo noi».

Prefetto Palomba la soddisfa la risposta del ministro?
Diciamo che sotto il profilo generale va bene, ma non avrei fatto quegli accenni ai passi indietro. Quelle parole non le ho capite, le dico la verità. Nessuno di noi si lamenta perché non ce la fa. Abbiamo posto un problema: in alcune realtà la situazione sta diventando difficile e se qualcuno politicamente individua la figura del prefetto come bersaglio ci consentirà il ministro, o chi per esso, di dire come associazione sindacale che non ci stiamo. Quindi fermiamoci e ragioniamo, non posso più accettare che la categoria venga infangata da persone che non meritano alcuna attenzione. Non è consentito al vicepresidente di un consiglio regionale dire a un prefetto che deve bere olio di ricino. Ho detto che lo citerò, e chiedo che il governo ci segua perché non stanno offendendo i prefetti ma chi sul territorio rappresenta lo Stato e il governo.

Avete chiesto un incontro ad Alfano, cosa gli direte?
Sto aspettando innanzi tutto che ci convochi. Abbiamo fatto già da tempo una serie di proposte anche sul tema immigrazione. C’è necessità di ampliare ulteriormente il numero delle commissioni territoriali che esaminano le richieste di asilo in modo da accorciare i tempi anche attraverso personale che svolga esclusivamente questo lavoro, perché una questione così delicata non si affronta con personale part-time. In più bisogna considerare che gli accordi che si fanno a Roma, nelle varie conferenze Stato-Regioni, sui territori sono quasi nulli. I sindaci, e guardi non solo quelli leghisti, non vogliono i profughi perché in tutto il territorio italiano il disagio abitativo sta diventando fortissimo. Allora bisogna fare uno sforzo immediato per colmare la carenza di case con un progetto serio e forte. Le faccio un esempio: a Rimini abbiamo avviato un percorso finanziato dal ministero degli Interni che prevederà la ristrutturazione di 15 canoniche per 200 posti, il 50% delle quali sarà destinato agli italiani e il 50% agli immigrati.

Ma non c’è un rifiuto da parte vostra nel gestire l’accoglienza dei profughi?
Assolutamente no, e io non ho mai detto una cosa del genere. Sarebbe una posizione politica e io rispondo alle circolari che mi arrivano dal ministro. E ci tengo a sgomberare il campo dal sospetto che qualche prefetto possa maliziosamente aver voluto mettere in difficoltà il governo con interventi di un certo tipo.

Vi sentite sotto attacco anche per la riforma Madia, che prevede una riduzione delle prefetture?
La riforma Madia parla anche di riduzione e inoltre c’è in atto un dpr che ridurrebbe a 20 il numero delle prefetture, questure e comandi provinciali, dalle attuali 103. Ritengo che in un momento così delicato per il Paese sia un errore abbandonare presidi importanti per lo Stato. Oggi il territorio ha bisogno di presenze forti e imparziali. Immagini cosa poteva essere l’immigrazione gestita dalla politica, vale a dire da organi elettivi.