Quando ho cominciato a frequentare la Lunigiana, la Garfagnana, le Apuane ho scoperto una grazia che mancava alla mia percezione della montagna. Ho sempre avuto molti amici qui. Ma per molti versi tutto si è fatto più prossimo da quando da quegli stessi amici sono stato convinto a far mio un fazzoletto di terra nei pressi di San Terenzo Monti.

È stato come conquistare un taglio prospettico dettato – e suonava strano a un uomo metropolitano come me – più dall’appartenere che dal possedere. La prima volta che mi sono seduto sulla balza più alta del Cucco ho sentito che da lì contemplavo un mondo selvatico al quale mi arrendevo come a un abbraccio, al largo abbraccio delle Apuane selvagge e brune, al grido alto del Pizzo d’Uccello, al bellissimo molare spezzato del Sagro.

A quel teatro di monti, selvatici, tramati di tracciati, scalfiti dalla Storia, ho pensato per parlare di montagna al Festival della Mente di Sarzana. Così come ho parlato di montagna nel libro Il grande cielo. Educazione sentimentale di un escursionista (Ponte alle Grazie 2023). Ho scritto di montagna e di montagne perché quello è stato un mondo che ho corteggiato sin dall’infanzia con la forza dell’immaginazione e dal quale mi sono sentito corteggiato per tutta la vita. Ho scritto di montagna cercando il senso del confine, la danza sinusoidale delle cime, la stravaganza delle forme, le pose e i volti degli ignari compagni, le vie sulle quali son tornato e quelle che ho solo desiderato, il cipiglio delle vette, la spinta solitaria e la spinta del gruppo, le letture che mi hanno sempre accompagnato, l’architettura e l’arte che mi hanno istigato a comprendere mondi abitati da sempre, mondi abbandonati. Ho cercato di restituire la fisicità dell’escursione, la verità del corpo, del mio corpo, e dei corpi in generali, ho evocato il segreto che lega fatica e godimento, esperienza muscolare e meditazione. Ho scoperto che le montagne non redimono e che, come una selva di eroi omerici, resistono, fiere della loro solitudine, custodi di visioni e di avventure umane.

È di questo che un escursionista va in cerca: della misura di se stesso, dentro le misure apparentemente incongruenti dell’ambiente a cui chiede ospitalità.
Come avanziamo su un sentiero, come sentiamo il progressivo silenzio che dal piede sale al muscolo e dal muscolo conquista il fiato e dal fiato alla libertà della mente. La logica del camminare non è diversa da quella della scrittura, e della lettura: esige ritmo, desta armonia, produce suono. Se c’è un grande cielo sopra di noi è perché non ci arriveremo mai, per quanto saliremo e per quanto cercheremo di sfidare altitudini. E non è sempre una questione di altitudine.
Su sentieri come quelli che portano da Giucano alle Prade si fa un esercizio di umiltà, ed è singolare come dentro quell’umiltà ci sia la meraviglia altrettanto umile dei fossi e delle Maestà. Che cosa siano queste Maestà lo si apprende da subito e lo si apprende in un territorio vasto che va da Sarzana a Fosdinovo, a Stazzema, da Bagnone a Fivizzano: abitano sui muri di cinta, agli angoli delle cappelle e delle chiese, intrattengono il camminatore dal diciassettesimo secolo in poi con la pazienza dell’immagine reiterata, e sono Madonne del Rosario, del Carmelo, del Buon Consiglio, Madonne con il bambino, della Misericordia, e poi santi, figure di devozione, compagni di cammino incisi in tavole di marmo che sono state forse residuo, passate nelle mani sapienti di artigiani, commissionate e disseminate (ne son state contate più di quattromila in Lunigiana) in tutto il territorio.

Come insegnano i sacri monti delle vallate alpine, l’artista nato in montagna ha portato nelle sue rappresentazioni l’umiltà, la ruvidezza, e persino le crudezze della storia sacra: le cappelle del Sacro Monte di Varallo in Val Sesia sono lì a testimoniare di quello che uno scrittore come Giovanni Testori ha chiamato «gran teatro montano». Si immagina, lo si può ben immaginare, il filo che si tende fra quel «gran teatro» e quello «piccolo» delle maestà lunigiane, sotto i nostri passi. Ed è un filo che, raccontato, ci racconta, senza retorica, fra lo schietto levarsi di un carpine e l’infoltirsi del bosco, prima della cresta ariosa delle Prade.

*Critico e scrittore, anticipazione della sua passeggiata guidata al festival della mente