Dovranno essere prodotte nel rispetto dei diritti umani e con il minimo impatto ambientale. Di lunga durata, sicure, e quando saranno esauste andranno riutilizzate, rigenerate o riciclate. Il loro contenuto di cobalto, nickel e rame dovrà essere recuperato al 90% entro il 2026, per salire al 95% entro il 2030. Più modesti i tassi di recupero per il litio: 35% al 2026 e 70% al 2030. Per poter essere tracciate durante tutto il loro ciclo di vita, saranno dotate di un passaporto digitale.

Così dovranno essere le batterie prodotte in Europa, o importate, secondo la proposta di regolamento della Commissione europea in discussione tra Bruxelles e Strasburgo, uno dei primi atti legislativi del Green Deal europeo che deve passare al vaglio di Parlamento e Consiglio. Salvo buon fine, naturalmente. I requisiti valgono per tutte le batterie ricaricabili, per uso industriale, per l’elettronica di consumo come per i veicoli con motore elettrico.

BATTERIE PER AUTOMOBILI L’EUROPA ancora non ne produce. Nell’attesa che entrino in funzione le 16 fabbriche, le cosiddette gigafactory, che dovranno rendere indipendente l’industria automobilistica europea dalle forniture asiatiche entro il 2023, la Commissione ha stilato una serie di requisiti obbligatori.

«È un regolamento ambizioso, come è giusto che sia se vogliamo che le cose cambino. Da da un punto di vista tecnologico è del tutto fattibile – commenta Silvia Bodoardo, a capo della task-foce batterie del Politecnico di Torino – Come siamo riusciti a riciclare al 97-98% le batterie al piombo, non c’è nessuna ragione per cui non si possa fare con le batterie agli ioni di litio. I metalli pesanti del catodo, perlopiù nickel, manganese e cobalto, questi ultimi due in percentuali sempre minori, si riciclano bene perché hanno un alto valore aggiunto, quindi è conveniente farlo. Meno conveniente è il riciclo della grafite che sta nell’anodo, ma tecnicamente si può fare. Per quanto riguarda il litio, è un po’ più difficile recuperarlo perché è molto solubile, ma fortunatamente non è tossico ed è un materiale sufficientemente abbondante, se ne stanno scoprendo riserve anche in Europa: ne abbiamo in Portogallo, Finlandia, Serbia. Si sarebbero potuti fissare obiettivi un po’ più alti per il litio, magari cercando di rendere il riciclo meno energivoro, perché anche questo aspetto è importante».

PER OTTIMIZZARE LE OPERAZIONI DI SMALTIMENTO uno strumento fondamentale sarà il passaporto digitale delle batterie. «Si tratta di inserire un sensore in ciascuno dei pacchetti che costituiscono la batteria – spiega Bodoardo – Il sensore è in grado di dire come è stata prodotta quella batteria e come è stata utilizzata, in modo che a fine vita si possa sapere con precisione come fare lo smaltimento».

Sulla seconda vita delle batterie dei veicoli elettrici, cioè sull’opportunità del loro riutilizzo, il dibattito è aperto. Al Laboratorio di sistemi e tecnologie per la mobilità e l’accumulo dell’ENEA ci spiegano che quando la capacità di carica delle batterie scende all’80% queste non sono più in grado di garantire le prestazione dei veicoli, ma non sono da buttare: possono ancora essere utilizzate per l’accumulo di energia da impianti fotovoltaici o eolici, oppure in altre applicazioni di supporto alla rete elettrica, dove non ci sono problemi di volumi e di massa. «Questo è un tema su cui ciascun esperto ha una sua idea – precisa Bodoardo – Si tratta di stabilire se, nel momento in cui il costo dei materiali diminuisce e lo smaltimento diventa particolarmente efficiente, sia meglio avere batterie che funzionano a metà oppure sia preferibile riciclare i materiali e produrre batterie nuove che garantiscono il massimo delle prestazioni».

LA PRIMA GIGAFACTORY In Italia sta per essere inaugurata a Teverola (Caserta), in un ex-stabilimento Whirpool, ora di proprietà del gruppo Seri che si è aggiudicato fondi dei bandi IPCEI (Importanti progetti di interesse comune europeo). L’impianto prevede anche una linea-pilota per il trattamento e il recupero di 50 tonnellate al giorno di batterie a fine vita. Una seconda gigafactory, la Italvolt, dovrebbe iniziare la produzione entro il 2024 nell’area ex-Olivetti di Scarmagno, nei pressi di Ivrea.

Secondo Bodoardo, sia Seri che Italvolt dovranno puntare molto sull’attività di ricerca e innovazione, perché «sarebbe inutile in Italia come in Europa competere con l’industria asiatica delle batterie con le stesse tipologie di prodotto. È necessario piuttosto innovare: infondo, noi stiamo utilizzando ancora la batteria con le celle come l’ha concepita Alessandro Volta alla fine del 1700. Per fare questo abbiamo bisogno di personale formato, che però manca. Mancano gli ingegneri dei materiali, gli ingegneri chimici, elettrici, di processo. La ricerca viene finanziata bene in questo settore, ma la formazione ancora no. È un tema anche europeo: la svedese Northvolt in questo momento sta assumendo personale che proviene dall’Asia, dove sono più formati di noi».

LE BATTERIE MADE IN EUROPE potranno avere un impatto ambientale minore rispetto a quelle importate. Attualmente le celle delle batterie vengono prodotte in Cina, Giappone e Corea del Sud con materiali estratti in Africa e in parte distribuite in Europa e Stati Uniti per essere assemblate: questo giro del mondo pesa per il 10% sulla quantità di energia – e quindi sulle emissioni – legate alla fase di produzione, emissioni che si potranno tagliare riportando in Europa la filiera produttiva, con benefici ambientali, oltreché occupazionali. Secondo Transport & Environment sono 120 mila i posti di lavoro che si creeranno in Europa entro il 2023 per la produzione delle batterie, che saliranno a 255mila (considerando anche l’indotto) entro il 2028 , in un settore che, rispetto alla filiera dei carburanti fossili, ha una densità occupazionale quattro volte superiore.