«Il mondo in cui vissero Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini è da tempo un mondo perduto». Inizia così l’ultimo libro di Renzo Paris, Pasolini-Moravia. Due volti dello scandalo (Einaudi-Stile libero, pp. 223, euro 15,50), in cui mettendo a confronto questi due giganti della letteratura italiana del Novecento, così diversi ma amici per la pelle, rievoca con una punta di nostalgia e di rimpianto momenti e protagonisti della società letteraria romana degli anni cinquanta, sessanta e settanta: da Elsa Morante a Dacia Maraini, da Laura Betti a Dario Bellezza, da Enzo Siciliano a Sandro Penna ecc. Il racconto scorre sul filo della memoria, però con continui soprassalti: alcuni ricordi dolgono ancora e non è bastato il tempo per rimarginare le ferite.

COME PRECISA Paris, i due intellettuali non «andavano d’accordo su niente e forse per questo si stimavano e alla fine, anche nei momenti di maggiore contrasto, finivano col fare pace. I due lucenti eremiti si sfidavano sui giornali, ma il terreno di scontro era l’intelligenza». Amico di entrambi, egli nel suo memoir dal sapore proustiano ricostruisce e analizza le tappe più importanti della loro amicizia e del loro sodalizio, dal momento dell’arrivo nel 1949 di Pasolini a Roma in compagnia della madre, in fuga da Casarsa, fino alla morte di Moravia, intrecciando, con continui flashback, ricordi autobiografici a pagine critiche di particolare acutezza. Numerosi sono i temi portanti e le questioni affrontati e discussi in questo libro; e non mancano neppure gli aneddoti gustosi.

LA DISTANZA tra i due scrittori era quindi abissale. Per cominciare, nel ’61 essi si recano in India in compagnia di Elsa Morante e da quella esperienza ricavano la materia per scrivere due libri completamente diversi, in cui esprimono opinioni e giudizi totalmente opposti. In seguito, si crea un confronto serrato sulla «questione linguistica» e sul tentativo di rilancio della nuova serie di «Nuovi Argomenti», in occasione della quale lo stesso Paris viene incaricato di correggere le bozze della rivista; mentre il segretario di redazione era allora il compianto Enzo Siciliano.

Ma il contrasto fra i due amici esplode in pieno ’68: Pasolini scrive a caldo i «brutti versi» del poemetto Il Pci ai giovani, dopo gli scontri di Valle Giulia del primo marzo, in cui condanna il movimento studentesco e assume le difese dei poliziotti, e Moravia gli risponde con tono aspramente polemico, cercando il dialogo al contrario con gli studenti, anche se viene respinto.

E neanche sul femminismo, sull’aborto e sul divorzio si trovano d’accordo, tanto che finiscono per assumere posizioni completamente diverse. Proprio su questo fronte abbastanza convincente e condivisibile Paris, interno al movimento, che sul ’68 e sugli anni settanta sembra esprimere un’opinione molto originale. E le critiche di Moravia ritornano anche sull’ultima stagione di Pasolini, quella corsara e luterana.

L’OMICIDIO MISTERIOSO del poeta bolognese, da parte dei ragazzi di vita, interrompe drammaticamente questo rapporto fraterno, creando dolore e costernazione, un vuoto che con gli anni diventa sempre più incolmabile (bellissime sono le pagine in cui viene rievocata la morte di Pasolini, ricche di tensione interiore e di pathos). Gli ultimi capitoli sono dedicati al Moravia di Impegno controvoglia e Inverno nucleare e alle sue ultime battaglie civili, condivise con grande entusiasmo da Paris, che in un passo aggiunge il ricordo della malattia e della morte di Dario Bellezza, in cui esprime tutto il suo dolore per la perdita di un amico.

NEL SUO BILANCIO CRITICO e autocritico l’autore di Celano si sforza di mantenere una posizione di equidistanza rispetto ai due scrittori, però alla fine confessa di sentirsi più vicino a Moravia, ma al tempo stesso non manca di ricordare che Pasolini gli ha regalato il dattiloscritto di Affabulazione.

Insomma, spinto da una sorta di imperativo categorico e di dovere morale, Paris ha scritto un libro davvero intenso e a tratti struggente, aprendo una finestra su un mondo che non esiste più, un libro che soltanto lui, che ha vissuto quella particolare stagione con entusiasmo e partecipazione, poteva scrivere.