Giornata storica quella di ieri per l’Armenia. Con 59 voti a favore Nikol Pashinyan è stato eletto dal parlamento primo ministro. Si conclude così positivamente la crisi politica iniziata quasi un mese fa.

Pashinyan, 43 anni, ha alle spalle un passato da giornalista e attivista dei diritti umani. Entrato in politica nel 2008 come leader dell’opposizione al partito repubblicano al potere, era stato condannato per le sue ripetute azioni di disobbedienza civile a sette anni di prigione, poi amnistiato nel 2010.

In queste ultime settimane è stato alla testa del grande movimento contro la corruzione e la riforma della costituzione che avrebbe permesso a Serž Sargsyan, leader del partito repubblicano, di restare a capo del paese anche dopo la fine dei due mandati presidenziali previsti. Il neo premier malgrado le forti tensioni accumulatesi in un mese di manifestazioni e scioperi è riuscito, come aveva promesso, a mantenere la mobilitazione popolare in un quadro pacifico, quasi da happening.

Come l’altro ieri notte, quando la rockstar di origine armena Serj Tankian, attivista ecologista e sostenitore di Bernie Sanders, è atterrato a Erevan per sostenere Pashinyan, provocando scene di grande entusiasmo tra i giovani. Anche al Cremlino grande soddisfazione per com’è evoluta la situazione.

Dopo i primi tentennamenti, Pashinyan ha confermato che l’Armenia resterà nell’Unione Euroasiatica, mentre le basi militari russe resteranno al loro posto almeno fino al 2042 come da accordi stipulati nel 2010. Vladimir Putin, subito dopo il voto, ha chiamato Pashinyan dichiarandosi «convinto che la sua attività alla testa del governo rafforzerà l’amicizia e la partnership tra i nostri due paesi».

Nel discorso di investitura Pashinyan ha confermato che «si batterà per mettere fine al regime oligarchico» e ha promulgato subito un decreto in cui si chiede all’Fbi di far rientrare i capitali esportati illegalmente negli Stati uniti da esponenti del governo.

I problemi che il nuovo premier dovrà affrontare sono molti. Il piccolo paese caucasico dopo il crollo dell’Urss si è inabissato in una crisi economica e sociale profonda. Il reddito medio annuo armeno non supera i 3.200 euro l’anno (in gran parte prodotto dalle rimesse e donazioni della diaspora mondiale armena) mentre petrolio e gas vengono sussidiati da Mosca.

Sul piano internazionale, oltre ai rapporti di pessimo vicinato con la Turchia che continua a negare pervicacemente il genocidio del 1915, resta aperto il contenzioso del Nagorno-Karabach in seguito al conflitto armeno-azero del 1994. Domani il nuovo premier si recherà proprio nel Nagorno-Karabach per festeggiare l’anniversario della Grande Guerra Patriottica sovietica.

«Non ci può essere soluzione di questa crisi senza il coinvolgimento della popolazione del Nagorno-Karabach», ha sostenuto ieri Pashanyan, provocando una piccata reazione azera: «Cambiano i governi ma l’Armenia non cambia la sua politica», ha dichiarato il ministero degli esteri di Baku.