In quasi 22 anni di non troppo onorata carriera politica Silvio Berlusconi è stato dato per finito innumerevoli volte, ma è sempre risorto. E’ probabile che ora sia arrivato davvero all’ultimo giro. Troppi i fattori che cospirano per abbatterlo, e troppo poca, ormai, la capacità dell’uomo di fronteggiarli. Dicono che lui stesso se ne renda conto, che veda la catastrofe incombente e la tema. Nel partito la rivolta della Puglia, commissariata dal capo sostituendo il coordinatore regionale Francesco Amoruso col fedelissimo Luigi Vitali, è dilagante. Tutti i coordinatori provinciali, fedeli a Raffaele Fitto, si sono dimessi senza che Vitali facesse una piega.

Il tentativo di spingere l’ammutinato verso la porta d’uscita è palese, ma Fitto tiene duro: «Questa è una prova di debolezza. Abbiamo avuto ragione e adesso parte un tentativo di epurazione che non porterà a nulla. Restiamo nel partito». I ribelli non sloggiano e Berlusconi è ormai tanto esasperato dalla loro resistenza da vagheggiare di nuovo l’ipotesi di abbandonare Forza Italia per dar vita a una nuova formazione, Forza Silvio, nella quale i disobbedienti non troverebbero posto. E’ un’ipotesi un po’ folle e alla quale probabilmente lo stesso ex Cavaliere crede solo nei momenti di maggior irritazione, ma dice tutto sullo stato dei suoi nervi.

La verità è che l’ex onnipotente non ha la minima idea di come affrontare questo nodo e neppure gli altri che gli si stanno stringendo intorno al collo. Per questo è possibile che alla fine si realizzi la profezia di Renzi e che l’ex socio del Nazareno, dopo le regionali, torni a Canossa. Non a caso il premier ha rinviato l’approvazione della legge elettorale proprio perché convinto che, dopo quell’appuntamento, Berlusconi non potrà che cedere. Per esserne così certo deve aver ricevuto segnali precisi, forse dallo stesso ex socio, più probabilmente dall’intramontabile Denis.

Ieri Verdini ha smentito di aver ripreso i contatti con l’amico fiorentino, o almeno con il suo uomo di fiducia, Luca Lotti. Nella situazione libica in cui versa Fi la smentita era d’obbligo: dunque significa poco. Anche perché c’è un ulteriore indizio del possibile riavvicinamento: l’intervista del capo dei senatori azzurri nella quale, ieri, Romani prendeva le distanze dal pasdaran Brunetta al punto di assicurare che «l’Aventino al Senato non ci sarebbe stato» e di affermare senza peli sulla lingua di non condividere il documento, mai passato al vaglio dei gruppi parlamentari, portato da Brunetta a Mattarella. Romani era soddisfattissimo per l’intervista ed è quasi impossibile che un uomo da sempre vicinissimo al capo possa aver deciso una mossa tanto dirompente senza il via libera di Arcore. Tutto insomma autorizza a credere che Berlusconi, con le spalle al muro, stia cercando di tenersi tutte le possibili vie di fuga aperte.
E’ ancora Romani ad affrontare a muso duro Salvini, sfidando il suo veto a ogni intesa elettorale con Alfano: «Noi non ci facciamo prendere a sberle da nessuno e facciamo l’accordo con l’Ncd». Dunque in Campania, unica regione in mano a Fi, gli azzurri correranno con Alfano. Solo che il coltello dalla parte del manico ce l’ha il Carroccio, che già da mesi si muove in un’ottica solitaria. La rottura dell’accordo firmato con Salvini appena due settimane fa potrebbe costare a Berlusconi la sconfitta in tutte le regioni.

Ma il guaio peggiore non è neppure questo. Le nubi più scure sono quelle che muovono dalle procure. All’improvviso l’inchiesta Ruby-ter, sulla corruzione dei testimoni nel processo Ruby, è diventata pericolosissima. Gli inquirenti avrebbero raccolto elementi incontestabili sui compensi ricevuti dalle olgettine per mantenere la dovuta discrezione. Il rinvio a giudizio potrebbe inoltre pesare sulla decisione della Cassazione in merito alla convalida dell’assoluzione di Berlusconi nel processo Ruby.

Così, tra un partito in guerra, l’impossibilità di ricreare quelle alleanze che avevano decretato le sue fortune, lo smacco del Nazareno e l’ombra di una nuova condanna, Berlusconi corre verso il suo tramonto.