Tanto più condizionato diventerà il «reddito di cittadinanza» vincolato a stringenti paletti patrimoniali e reddituali, quanto più sarà universale l’«assegno unico» per i figli di cui ieri il consiglio dei ministri ha varato il decreto attuativo. E ancora non è chiaro se oltre 1 milione e 600 mila famiglie che percepiscono il «reddito» subiranno una diminuzione dell’importo quando l’Inps riconoscerà automaticamente, previa domanda, quello dell’«assegno» per i figli.

È IL WELFARE all’italiana: misure che potrebbero essere due gambe dello stesso Stato sociale, adeguatamente ripensato. Lo stesso che però resta, per ragioni politiche, un mantello di Arlecchino pieno di toppe e rattoppi. Colpisce, in questo quadro, la disparità di trattamento dei cittadini extracomunitari. I residenti in Italia da meno di dieci anni non possono chiedere il «reddito» e, se lo fanno, sono denunciati dalle forze dell’ordine. Coloro che invece risiedono da due anni potranno chiedere entro il 2022 l’«assegno» per i figli. La Lega ieri si è scatenata e ha chiesto di uniformare il bando che colpisce gli stranieri in nome di quello che è chiamato «sciovinismo del Welfare». Tutte le altre forze politiche che compongono l’arco politico draghiano erano soddisfatte, a cominciare dai renziani di Italia Viva: primi a chiedere l’abolizione del «reddito di cittadinanza» (in realtà il rafforzamento della sua struttura punitiva), ieri si sono intestati la legge in nome di un universalismo pensato «sulla genitorialità, sulla promozione della natalità e dell’occupazione femminile» ha sostenuto la ministra alle Politiche Giovanili Fabiana Dadone. Per evidenziare questa idea di universalismo che premia una condizione diffusa, ma comunque specifica, e non il diritto di ciascuno di esistere. Dadone ha detto che l’assegno andrebbe anche «a Fedez se lo chiedesse».

NEL CAOS di misure che viaggiano a diverse velocità, a seconda della misura-bandiera di questa o di un’altra maggioranza, l’«assegno unico» semplificherà la platea delle detrazioni. A differenza dei vecchi assegni familiari, il nuovo aiuto sarà graduato in base all’Isee e non più sul lavoro. Sarà necessario presentare una domanda all’Inps, l’assegno non sarà erogato in busta paga. Chi non presenterà la dichiarazione, ma solo la domanda, riceverà a sua volta il minimo previsto: 50 euro a figlio.

L’ASSEGNO unico per i figli dovrebbe andare a sette milioni di famiglie con figli: incapienti e benestanti, lavoratori dipendenti e autonomi. Varierà dai 50 ai 175 euro al mese (2100 euro l’anno) e da 25 a 85 euro al mese per i figli tra i 18 e i 21 anni, in base all’Isee. è stato calcolato che circa la metà delle famiglie interessate, dunque 3,5 milioni, si colloca sotto i 15mila euro di Isee e otterrebbe il massimo dell’assegno: 175 euro al mese con 1 figlio, 350 con due, 610 con tre e 970 (con 100 euro do forfait) con 4 che diventano 1090 euro al mese se entrambi i genitori lavorano. A questa cifra vanno aggiunti i 20 euro al mese a figlio in caso di mamma under 21. I nuclei che superano i 40mila euro di Isee avranno 50 euro al mese con un figlio, 100 euro con due figli, 165 euro con tre figli, 330 euro con 4 figli. La misura accompagnerà i figli dal settimo mese di gravidanza fino a 21 anni ed è condizionata allo studio, alle politiche attive del lavoro con tirocini collegati ai redditi minimi o al servizio civile universale. Dunque agli adolescenti e ai maggiorenni non si riconosce un diritto universale, anzi li si vincola ai genitori, sia pure per cifre simboliche, e all’impostazione tipica del Workfare.

I SINDACATI hanno avanzato diverse critiche. «È una riforma profondamente divisiva che toglie ai lavoratori con redditi e Isee più bassi a favore di quelli più alti del lavoro autonomo e delle partite iva – sostiene Stefano Mantegazza (Uila Uil) – L’assgno rischia di diventare per tanti lavoratori meno “pesante” rispetto a quanto percepito finora come detrazioni fiscali. Per la prima volta, si mette mano pesantemente alle norme che disciplinano il mondo del lavoro senza alcun coinvolgimento di sindacati ed imprese né a monte né nel monitoraggio degli effetti della norma, che viene demandato al mondo dell’associazionismo». Per Luigi Sbarra (Cisl) il provvedimento è positivo anche se «il 18 per cento delle famiglie sono state penalizzate: lavoratori dipendenti anche a basso reddito. Bisogna allungare la clausola di salvaguardia oltre il 2025 per proteggerle meglio». Per Rossana Dettori (Cgil) «l’esperienza dell’assegno temporaneo ci dice che la decurtazione dal reddito di cittadinanza dell’importo previsto per i figli si traduce in un’ingiusta penalizzazione delle fasce più fragili della popolazione».