Nel fluire delle immagini c’è sempre una parola o una frase sussurrata o urlata – mai buttata al vento – come «Fuck RWE!» su un cartello abbracciato al tronco altissimo di un albero nella foresta millenaria di Hambach. Le tre lettere stanno per Rheinisch-Westfälisches Elektrizitätswerk, la società elettrica tedesca che nel suo sito web dichiara «La nostra energia per una vita sostenibile».

NELL’IMMENSO POLMONE che in un passato ormai remoto è stato quel bosco situato nell’ovest della Germania, sopra un giacimento di lignite la cui combustione alimenta un terzo dell’intera elettricità tedesca (quella firmata RWE per intenderci), a partire dagli anni ’70 il disboscamento per estrarre il carbone fossile ha fatto sì che della foresta originaria ne sia sopravvissuta solo il dieci per cento. Una vergogna non solo per la Germania ma per l’intera Europa.

UN’ALTRA SCRITTA ICONICA è «Red Line Against Fossil Capitalism» le cui lettere sono state tracciate con la vernice bianca di una bomboletta spray su una struttura metallica del porto di Rotterdam, il più grande porto marittimo europeo. Parole, quelle captate intorno a sé da Oliver Ressler (Knittelfeld, Austria 1970, vive e lavora a Vienna), che enunciano un programma e diventano esse stesse il manifesto di un pensiero che trova la più coerente continuità nell’azione.

IN OCCASIONE DI In and Against the War on Terra (fino al 12 marzo), la sua seconda personale organizzata dalla galleria romana The Gallery Apart in collaborazione con Forum Austriaco di Cultura Roma, l’artista e attivista che dirige il progetto di ricerca sul movimento per la giustizia climatica Barricading the Ice Sheets presenta un nucleo di fotografie della serie How is the Air up There? (2018), Arctic permafrost is less permanent than its name suggests (2019), Every round-trip ticket on flights from New York to London costs the Arctic three more square meters of ice (2019) e Red Line Against Fossil Capitalism (2017/2019).

IN DIALOGO SERRATO con le immagini fisse scorrono quelle in movimento dei sei film della serie Ongoing Everything’s coming together while everything’s falling apart: COP21 (2016), Ende Gelände (2016), The ZAD (2017), Code Rood (2018), Limity jsme my (2019) e il più recente Venice Climate Camp (2020) proiettato su una parete nella sala inferiore dello spazio espositivo.

OPERE INCENTRATE sulle battaglie dei movimenti per la giustizia climatica e sulle forme di resistenza alla distruzione del clima terrestre che, di fatto, sono atti d’insubordinazione nei confronti di una presunta civiltà che stenta ancora ad assumersi le responsabilità delle criticità di un presente in balìa delle forze politiche e delle speculazioni economiche. Tra arte e attivismo non c’è alcun confine per Ressler che è sempre in prima linea nelle manifestazioni, occupazioni e proteste con macchina fotografica, videocamera e treppiedi.

ERA DALLA CONFERENZA dell’Onu sui cambiamenti climatici di Parigi, alla miniera di carbone di Bílina nella Repubblica Ceca a Nantes, Amsterdam, Vienna… e anche a Venezia dove nel settembre 2019, durante la 76esima Mostra Internazionale del Cinema, ha registrato le immagini del global strike con l’occupazione del red carpet da parte delle centinaia di giovani del Venice Climate Camp. Nove ore di occupazione sintetizzate in 21 minuti di film che mantiene quella duplice dimensione narrativa che caratterizza tutti i lavori dell’artista, in cui il reportage incontra la creatività poetica.

OLIVER RESSLER che è tra gli artisti presenti nel libro di Rosa Jijón e Francesco Martone, Dreamland. I confini dell’immaginario. Le migrazioni nell’arte contemporanea (manifestolibri, 2020), prima pubblicazione curata dal collettivo A4C-Arts For The Commons, sottolinea «la necessità di stabilire nuove modalità di organizzare la società che tengano conto del fallimento delle nostre istituzioni democratiche e di un sistema economico che conduce alla crisi e ne materializza le conseguenze». Malgrado tutto, però, ha la sensazione che non sia troppo tardi. «Se riusciamo a riunire l’energia di milioni di persone in tutto il mondo e mobilitarle, possiamo ancora evitare i risultati più dannosi del riscaldamento catastrofico. Ma dobbiamo davvero sbrigarci!».