Ritorno in Albania, all’Albania. Trent’anni dopo quel decennio, gli anni Novanta, che segnò la fine della dittatura e un difficile passaggio alla democrazia. Ieri e oggi, e viceversa, si intrecciano, sovrappongono, liberano memorie, in Parlate a bassa voce di Esmeralda Calabria (da oggi in sala). Ritratto di chi allora era giovane, come il violoncellista Redi Hasa che nel 1997 lasciò la natia Tirana per l’Italia e adesso ha paura di dimenticare, vorrebbe fermare il tempo ma non è possibile, mentre i ricordi d’infanzia iniziano a svanire.

HASA diventa il Virgilio di Esmeralda in questo viaggio nell’Albania odierna, incontrando persone di varie generazioni, entrando in contatto intimo con loro. Ognuno e ognuna con il proprio portato di memorie che riemergono in un film che evita lo schematismo del documentario-intervista, che aderisce con sguardo tanto lieve quanto profondo e «a bassa voce» al modo di raccontare «a bassa voce» degli uomini e delle donne che si succedono nelle scene: musicisti, attori e attrici di teatro (che ricordano come in Albania fosse vietato portare in scena gli autori stranieri), intellettuali, persone comuni che hanno vissuto sulla loro pelle quel comunismo che, dicono in molti, non si poteva chiamare tale perché era una manipolazione del senso etimologico del vero comunismo, ideale e egualitario.

AL POTERE c’era Enver Hozha, il «grande padre» della nazione, che ri-appare in materiali d’epoca (adunate, flash di masse, ma ci sono anche frammenti di film, concerti, trasmissioni televisive di un concorso musicale) inseriti tra le immagini del presente.
Parlate a bassa voce è un film storico, politico, non retorico, che mette in primo piano l’umanità delle persone, rabbia, sofferenza, dolcezza, e l’amore per la propria terra – nonostante tutto. Fra loro c’è un musicista, coetaneo di Hasa, che conduce l’amico e noi spettatori in uno scantinato dove negli anni Novanta suonava con il suo gruppo. Su una parete di quella stanza, che mantiene segni concreti e indelebili di un tempo ormai lontano, c’è scritto «Parlate a bassa voce». Una frase rivolta a chi si radunava lì: «Non fate rumore in caso di un attacco, per evitare che il nemico senta», spiega sorridendo il musicista. Ma il film documenta anche cambiamenti radicali recenti, come la distruzione il 17 maggio 2020 del Teatro Nazionale di Tirana voluta dalle autorità, con le ruspe entrate in azione all’alba, «per cancellare – ricorda un attore – un posto che conteneva ottant’anni di storia».