Sono uguali, sono pari. I sondaggi dicono che Stefano Parisi e Beppe Sala ormai se la giocheranno per una manciata di voti. Un disastro impensabile per la coalizione del centrosinistra che si affanna a sostenere l’ex manager di Expo. Fino a qualche settimana fa non c’era nemmeno partita. La campagna elettorale comunque non decolla nonostante i tentativi dei due di gratificare almeno un po’ le rispettive “ali radicali” che li sostengono. Sala non è stato molto convincente dipingendosi di sinistra, e adesso tocca a Parisi digrignare i denti per dare un contentino all’elettorato fascio leghista che porta in dote parecchi voti.

E così il giochino “nota le differenze” – l’unica strategia politica della sinistra spaesata che appoggia Sala per continuare ad esistere – ogni giorno si arricchisce di qualche tassello di propaganda in più. Sono affondi polemici che interessano solo addetti ai lavori, staff e pochi simpatizzanti che frequentano appuntamenti e apertivi elettorali. Archiviato l’affondo contro il Leoncavallo – “luogo illegale”, ma Parisi è abbastanza lucido da non imbarcarsi in una crociata preistorica – il candidato del centrodestra ieri ha manifestato un approccio più muscolare del suo avversario sul problema casa. Nella città vetrina dell’Expo, per decenza, tutti i candidati prima del voto sono costretti ad occuparsi di periferie.

Per Stefano Parisi occupare case è un’illegalità che va rimossa (due inverni fa la pensava così anche la giunta di Giuliano Pisapia, prima che la situazione sfuggisse di mano sia agli assessori che alla polizia). “Mentre ci sono famiglie di milanesi che aspettano in lista – dice Parisi – la sinistra strizza un occhio a chi occupa: così non va bene. La situazione va gestita, non come uno scontro militare, ma va riportata la legalità con le forze dell’ordine. Ne ho già parlato con il ministro dell’Interno”. Sulla stessa questione Beppe Sala invece ha buon gioco a manifestare un approccio meno ultimativo. Secondo lui a Milano ci vorrebbe “un piano Marshall per la casa”, questo sarebbe il problema “più prioritario di altri”.

Ci vogliono soldi ma Sala dice che saprebbe dove trovarli: “Sono disponibile a dismettere, senza perdere il controllo delle partecipate, parte del nostro patrimonio per trovare fondi” (per la riqualificazione dell’edilizia popolare). Una differenza di approccio da tenere a mente (anche se centrosinistra e centrodestra continuano a fare a gara a chi ha sgomberato più poveracci), soprattutto perché Parisi ormai ha imparato a dribblare l’unico argomento incontestabile degli avversari: “Sono più libero io da Salvini che Renzi da Verdini, quindi credo che il Pd debba smetterla di usare questo argomento”. E se il capo della Lega invita i sindaci a disobbedire sulle unioni civili? Lui fa il leader politico, dice Parisi, “ma un sindaco deve rispettare la legge”.

Noiose schermaglie a parte, la giornata di ieri (non) passerà alla storia anche per la simpatica archiviazione involontaria della “rivoluzione arancione” di Giuliano Pisapia. L’appuntamento per feticisti della politica è stato organizzato dalla lista Sinistra X Milano alla Rotonda della Besana: un’asta con in vendita alcune memorabilia dell’indimenticabile campagna elettorale che fu per rimpinguare le casse vuote degli arancioni che sostengono l’ex manager di Expo. Operazione museale divertente per una storia finita da un pezzo. Tra i cimeli più ambiti da mettere sotto vetro, anche le calze rosse portafortuna indossate dal sindaco durante la campagna elettorale di cinque anni fa. Le ha dovute comprare Beppe Sala, sborsando 550 euro. Simpatico, più di Parisi?