Ogni volta che sembra aver toccato il fondo, la crisi infinita in Macedonia scava verso nuovi abissi, sempre più inquietanti. Giovedì sera le immagini caotiche del parlamento di Skopje, trasformato dai sostenitori del Partito democratico per l’unità nazionale macedone (Vmro-Dpmne) in un cruento campo di battaglia fatto di volti sanguinanti, assalitori dal volto mascherato e forze di polizia inerti, hanno (tristemente) riportato il tormentato paese sulle prime pagine dei media internazionali.

Le violenze, seguite all’elezione di un nuovo presidente del parlamento da parte della nuova maggioranza di socialdemocratici e partiti albanesi, non possono che aumentare i timori sul destino di un paese spaccato e smarrito, ma in realtà non rappresentano una vera sorpresa, quanto il naturale e rovinoso evolversi di un’infinita crisi politica e istituzionale che si è trasformata sempre di più in una paralisi mortale della democrazia macedone.

LE ELEZIONI ANTICIPATE dello scorso 11 dicembre, frutto di elaborati e faticosi negoziati tra la maggioranza Vmro di Nikola Gruevski e l’opposizione socialdemocratica di Zoran Zaev dovevano risolvere lo stallo. Il risultato di sostanziale parità e l’ombra lunga della «piattaforma di Tirana» prima e l’intervento del presidente Gjorgje Ivanov poi – con la decisione senza precedenti di non assegnare a Zaev il mandato nonostante la chiara presenza di una maggioranza in parlamento -, hanno invece fatto precipitare ancora di più la situazione in una spirale senza controllo.

Di fronte all’ostruzione del presidente (eletto in quota Vmro) l’opposizione ha deciso di proseguire il percorso di costituzione degli organi parlamentari per procedere poi alla creazione un nuovo esecutivo, la Vmro ha risposto mobilitando la piazza col movimento Per una Macedonia unita, in difesa «dell’integrità e indipendenza della Macedonia» e contro un futuro governo accusato di svendere il paese agli interessi della minoranza albanese pur di andare al potere.

LE DUE STRATEGIE, in evidente rotta di collisione, ieri sera si sono tragicamente scontrate nell’aula del parlamento di Skopje. Dopo l’elezione dell’albanese Talata Xhaferi (Dui – Unione per l’integrazione) a nuovo presidente del parlamento, in un’aula boicottata dalla Vmro fin da gennaio, una folla inferocita di sostenitori del partito di Gruevski ha fatto irruzione nell’aula, mentre la polizia a guardia del parlamento assisteva senza alcuna chiara volontà di intervenire.

I parlamentari della nuova maggioranza (67 deputati su 120) sono stati attaccati con lancio di sedie, oggetti contundenti, pugni: il bilancio è di circa cento feriti, tra cui alcuni giornalisti e quattro deputati, incluso lo stesso Zaev, colpito alla testa e sanguinante. Al leader dell’Alleanza degli Albanesi Zijadin Sela è andata ancora peggio: scioccanti immagini – che hanno presto fatto il giro dei socialmedia – lo hanno mostrato mentre veniva trascinato fuori dal parlamento con il volto grondante di sangue. In serata voci di corridoio lo davano addirittura in fin di vita, informazione che però non è stata smentita né confermata.

LA LUNGA NOTTE della democrazia macedone si è conclusa solo quando la polizia antisommossa ha fatto irruzione in parlamento, utilizzando granate stordenti per disperdere gli aggressori ed evacuare i deputati e giornalisti ancora intrappolati nell’edificio.

Calato il sipario sulla notte di violenze è iniziato il balletto di dichiarazioni politiche. Il presidente Ivanov, accusato dai socialdemocratici di essere uno dei principali responsabili della situazione esplosiva, ha chiamato alla calma con un breve messaggio televisivo, invitando poi i leader di tutti i partiti per un incontro nel suo ufficio. Gruevski, che al momento non si trova in Macedonia, ha usato Facebook per ribadire che la Vmro continuerà a usare «ogni mezzo democratico» per bloccare la creazione di un esecutivo a guida socialdemocratica. Da Stati uniti e Unione europea sono arrivate invece parole di ferma condanna sulle violenze di ieri.

DIVENTA ORA sempre più difficile prevedere la direzione che prenderà la crisi, ma i tragici eventi di ieri non possono che iniettare massicce dosi di pessimismo. Fin dal suo inizio, con lo «scandalo delle intercettazioni» all’inizio del 2015, la crisi macedone ha mostrato in modo evidente l’assenza di qualsiasi volontà di dialogo e compromesso tra le parti.

In una situazione di spaccatura verticale della politica, e ora di violenza anche fisica sugli avversari, crescono paure e voci incontrollate, come quella circolata insistentemente nei giorni scorsi sulla presunta volontà del presidente Ivanov di dichiarare lo stato di emergenza e prendere il controllo del paese dal super-bunker ora abbandonato di Jasen, non lontano da Skopje.

LE CAPACITÀ DI INTERVENTO della comunità internazionale e dell’Unione europea, che ha a lungo tentato di facilitare una soluzione politica allo stallo attraverso gli accordi di Pržino, sembra ridotta al lumicino. L’Ue ha però il dovere – e tutto l’interesse – di tentare fino in fondo e con tutto il peso a sua disposizione di riaprire ogni possibile strada che rilanci trattative tra le parti, alla ricerca di una via d’uscita politica per uno scontro che somiglia sempre di più a una guerra civile in attesa di esplodere.

* Osservatorio Balcani e Caucaso-Transeuropa