Di nuovo nel mirino dei paramilitari la Comunità di pace colombiana di San José de Apartadó. Da giorni, le famiglie che abitano nella zona (nella regione di Urabà, al nord-ovest della Colombia) hanno ricominciato a vivere nel terrore per le incursioni delle milizie armate. Lunedì scorso, un gruppo di paramilitari è entrato in un terreno della comunità e, dopo aver razziato provviste e galline, si è portato via 6 civili, 5 dei quali minorenni. Poi sono entrati in casa di un altro contadino e hanno cercato di rapire una ragazza, accusandola di far parte della guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionate colombiane (Farc).
«Compiono queste violenze con l’aiuto della forza pubblica, che li copre e li protegge, la loro indisturbata attività indica il profondo livello di connivenza che esiste tra le istituzioni dello Stato colombiano e i gruppi paramilitari, che sono il suo braccio clandestino», hanno detto al manifesto Jesus e Arley Tuberquia, durante una recente visita in Italia. Li abbiamo incontrati alla Fondazione Lelio Basso insieme al sacerdote gesuita Javier Giraldo Moreno, direttore della Banca dati sui diritti umani del Centro de Investigacion y Educacion Popular (Cinep), che accompagna da anni diverse comunità nella resistenza civile alla guerra. «La nostra comunità – ci ha spiegato Jesus – esiste dal 23 marzo 1997, abbiamo scommesso di vivere in modo non violento, per dare un messaggio forte contro la disumanizzazione crescente dovuta al culto del denaro. Al nostro interno, lavoriamo per la comunità educando i bambini a non far del male agli altri esseri umani. In Colombia ci sono molti motivi per prendere le armi, ma altrettanti per disinnescarle e spezzare il circolo vizioso». Per questo – ha precisato Arley – quando vediamo dei cadaveri intorno a noi, che si tratti di guerriglieri, di contadini o degli stessi paramilitari che ci perseguitano, sfidiamo i fucili per dare loro degna sepoltura e riconsegnarli alle famiglie. Solo i codardi odiano».
La comunità ha perso 164 dei suoi, per aggressioni, omicidi mirati o massacri come quello del 21 febbraio del 2005, in cui morirono 8 persone. Benché padre Giraldo e i membri di San José avessero subito denunciato le responsabilità dell’esercito e dei paramilitari, l’allora presidente Alvaro Uribe dette la colpa alle Farc. Anche la guerriglia per un periodo ha visto come nemici alcuni leader della comunità, accusati di connivenza con lo Stato in una zona strategica per il conflitto armato. «Ma poi le cose sono cambiate», ci ha detto padre Giraldo, minacciato di morte dai paramilitari per aver denunciato le violazioni ai diritti umani in Colombia. Il sacerdote guarda con favore i negoziati in corso all’Avana tra Farc e governo colombiano, «i buoni risultati ottenuti sul tema agrario e su quello della partecipazione alla vita politica in sicurezza per l’opposizione».
Teme, però, che anche questa volta, vincano «gli interessi del mercato» e che il governo disattenda i patti per difendere «i trattati di libero commercio e le grandi compagnie». E anche «sulla partecipazione politica la strategia è sempre la stessa: se non ci pensano i paramilitari, arriva l’azione fascista del solito Procuratore che, come nel caso della senatrice Piedad Cordoba, ti denuncia come fiancheggiatore della guerriglia. Ci sono finito anch’io: per aver incontrato in carcere, come difensore dei diritti umani, un testimone nel processo contro Uribe».