I maghi della comunicazione di Madison Ave, i mad men, hanno illustri, insospettabili, precursori. Altrettanto cinici, visionari, abili, se non di più. I loro antenati hanno fatto strategia di comunicazione, con successo, non per qualche decennio ma per secoli, per diversi secoli. Per oltre un millennio. Promuovendo e consolidando un marchio che è tuttora tra i più forti e riconoscibili, tra i più fortunati al mondo: Venezia. D’altra parte, la città dei dogi non è spesso associata a New York, non è forse il grande hub internazionale dei tempi in cui Manhattan era ancora un’isola abitata dal popolo Lenape?

E SÌ, PUÒ ESSERCI UN FILO originale per raccontare Venezia – la sua unicità – ed è quella d’immaginarne la storia come il lungo percorso di un brand di successo, creato, alimentato e sostenuto per secoli dai suoi governanti, con la lucida consapevolezza di chi è a capo di un luogo speciale, esso stesso intrinsecamente mediatico e simbolico, una forza che nessun altro luogo ha e avrebbe potuto avere. Una «miniera» virtuale da far fruttare sagacemente. Un posizionamento naturale e geografico diventato posizionamento di mercato, di strategia comunicativa per indirizzare e accompagnare la presenza egemonica nel Mediterraneo e nell’area territoriale circostante.
Manager d’impresa, i dogi e gli altri massimi dirigenti veneziani: non per questo sono algidi tecnocrati, anzi, sono abili politici, capaci di trasformare criticità e vulnerabilità di una città d’acqua in poderosi, duraturi punti di forza, e a consolidarli con ineguagliabile abilità comunicativa, fino a farla assurgere a potenza navale temuta per secoli.

MA CHI se non un veneziano superdoc, per giunta discendente proprio di una delle famiglie eminenti protagoniste di questa storia peculiare, con un solido curriculum professionale nella pubblicità e nella comunicazione, poteva misurarsi con una simile scommessa narrativa? Pieralvise Zorzi, un po’ per l’indole che l’ha portato a quel mestiere, un po’ per deformazione professionale, un po’ per civetteria, ha quel certo non so che d’ironia che gli consente di trattare una materia, che in realtà è seria, con fine nonchalance e solida cultura. Il risultato sono pagine che si leggono molto volentieri e che, senza che te ne accorga, ti forniscono tante informazioni e suggestioni.
La sua Storia spregiudicata di Venezia (Neri Pozza, pp. 258, euro 18), si cimenta, in brillante scioltezza, con la storia di una città spregiudicata. È una collana di fatti, un susseguirsi di episodi, ritratti, miti, legati insieme dall’autore con connessioni e collegamenti che danno ben conto di una lunga e coesa storia della città durata secoli, diversamente da quella di tante altre città non meno illustri, ma segnate da un periodo circoscritto di splendore lungo un altalenante tragitto di stratificazioni di civiltà e dominazioni diverse.

LA VENEZIA che conosciamo conta 1600 anni di vita, senza tener conto dei secoli precedenti segnati dalla presenza romana e locale. 1600 anni, se prendiamo per buona la leggenda fondativa della città secondo la quale tutto inizia il 25 marzo 421, il giorno dell’Annunciazione.
Quella data, se festeggiata oggi, per volere del sindaco, ha l’evidente intento pacchiano di promuovere l’ennesima occasione di richiamo turistico. Ma nella storia della Serenissima – e nel racconto di Zorzi – è una vicenda avvolta in un abile mix di storia e leggenda, la prima di diverse altre operazioni politico-mediatiche e di miti che s’intrecciano e s’impastano disinvoltamente con vicende vere, reali, dando forma a quella che oggi si direbbe la narrative, la narrazione che legittima il potere ma che dà anche un forte senso di comunità, d’identità e d’appartenenza ai veneziani, caratteri, peraltro, presenti tuttora tra gli abitanti veraci della città, rimasti pochi, ma gagliardi, che s’ostinano a considerare Venezia non il centro storico di una città metropolitana, com’è oggi amministrativamente, ma una città in sé e per sé, autonoma. Quella di sempre.
A Venezia tutto parla, tutto rimanda alla sua grande narrazione. Non solo i simboli, le leggende. La storia di San Marco, da sola, spiega la grandezza della Repubblica, competitiva con quella di Roma.

SE ROMA HA SAN PIETRO, Venezia ha l’Evangelista. Se Roma ha il papa, la Repubblica ha come capo religioso il Doge, vicario di San Marco in terra. Ma anche il colore rosso è di una tonalità unica, è il rosso veneziano della bandiera su cui spicca l’oro del leone in moeca, il rosso veneziano di certi paramenti del potere.
E poi le pietre, gli edifici grandiosi, la configurazione stessa della città, lo splendore dei palazzi sul Canal Grande, vetrina internazionale, specchio di una ricchezza ormai consolidata. Una Venezia Spa di aristocratici, certo, ma capaci di farla anche fruttare e tramandarla, la ricchezza, non dissiparla, come i loro omologhi di terraferma.