Lo studente universitario Paolo Rossi, 19 anni, fu aggredito mercoledì 27 aprile 1966, verso mezzogiorno, all’interno della Città Universitaria di Roma da una squadraccia neofascista. Secondo diverse testimonianze fu scaraventato contro la vetrata della Facoltà di Lettere e Filosofia e colpito da una scarica di pugni. Perse i sensi e precipitò, «senza un lamento, come un sacco», giù dal muretto alto cinque metri che delimitava lo scalone di marmo. Privo di conoscenza, morì poche ore dopo per la frattura del cranio senza che si potesse tentare un intervento chirurgico. Nelle foto scattate pochi attimi prima si poterono riconoscere alcuni tra gli esponenti più noti del neofascismo romano: Stefano Delle Chiaie, i fratelli Di Luia, Bruno e Serafino, Flavio Campo, Saverio Ghiacci, Loris Facchinetti, ma anche Mario Merlino, all’epoca in Avanguardia nazionale.

Lo studente socialista Paolo Rossi, aveva 19 anni quando fu ucciso

GIÀ DA ALCUNE SETTIMANE si erano verificate diverse aggressioni ai danni degli studenti di sinistra ad opera di manipoli di picchiatori missini capeggiati abitualmente da Giulio Caradonna, come di altre formazioni, tra loro, oltre ad Avanguardia nazionale, Primula goliardica, l’organizzazione studentesca di Nuova Repubblica fondata da Randolfo Pacciardi. Per denunciare questa situazione un Comitato di professori e studenti aveva da poco presentato un «Libro Bianco», nell’assoluta indifferenza del rettore Ugo Papi, già iscritto al Partito nazionale fascista, simpatizzante dell’Msi e collaboratore del quotidiano di estrema destra Il Tempo.

La targa che ricorda l’omicidio all’università di Roma

In quegli anni, a metà dei Sessanta, si stava assistendo a una forte ripresa dello squadrismo, non solo a Roma. Nel gennaio del 1965 era finita sotto indagine una sorta di milizia paramilitare dell’Msi denominata Camicie verdi, protagonista di attentati dinamitardi anche a sedi democristiane. In questo ambito aveva fatto scalpore che tra gli attentati in preparazione figurasse come obiettivo nientemeno che Aldo Moro. Duecento circa furono i fermi tra Milano, Roma, Genova e Torino, tra loro il futuro dirigente Dc Vittorio Sbardella, alcuni esponenti locali missini e addirittura membri del Comitato centrale del partito. Uno di questi Mario Gionfrida, in precedenza, il 9 marzo 1955, in un assalto alla sede del Pci in via delle Botteghe Oscure a Roma aveva perso una mano nel lancio di una bomba a mano.

L’INCHIESTA SULLA MORTE di Paolo Rossi fu assai travagliata. Nonostante le perizie necroscopiche e istologiche indicassero con precisione una «grave lesione toracica» con « esteso spandimento emorragico» nella «zona del polmone sinistro» (fu probabilmente colpito con un tirapugni), come causa della «precipitazione», il pm avanzò al giudice istruttore la richiesta di archiviazione. Solo il 30 luglio del 1968 si arrivò, ma ormai inutilmente, a una sentenza di omicidio a opera di ignoti. Incredibilmente ignorate furono le numerose fotografie che ritrassero la scena dell’aggressione che avvenne sotto lo sguardo della polizia rimasta a guardare. In particolare, nella sequenza fotografica che il settimanale Vie Nuove pubblicò il 13 ottobre 1966, si scorgeva la sagoma di Paolo Rossi schiacciata da due fascisti contro la vetrata, uno dei quali con il pugno alzato.

Paolo Rossi era uno studente iscritto alla Gioventù socialista, figlio di due insegnanti che erano stati entrambi nella Resistenza. Fu il primo morto per mano fascista dalla nascita della Repubblica dopo il referendum del 2 giugno 1946.

I funerali di Paolo Rossi

LA SUA MORTE suscitò un’enorme emozione. Al suo funerale parteciparono almeno diecimila persone, vicino ai famigliari anche il leader socialista Pietro Nenni, ma le violenze fasciste non cessarono. Ancora nella notte fra il 28 e il 29 aprile gli squadristi di Avanguardia nazionale aggredirono la figlia del deputato comunista Pietro Ingrao e due assistenti universitari, uno dei quali per una coltellata perse la falange di un dito.
Il 2 maggio tutte le Facoltà dell’Università di Roma furono occupate, mentre 51 docenti titolari di cattedra denunciarono in una lettera al Presidente della Repubblica «la situazione di violenza e illegalità» che regnava «nella città universitaria dove un’infima minoranza di teppisti» con «i simboli del nazismo, del fascismo e delle SS» poteva «impunemente aggredire studenti e professori». Il Rettore Ugo Papi fu costretto alle dimissioni.

Una lapide con la scritta «In memoria di Paolo Rossi, qui ucciso dai fascisti» è stata posta all’Università nel dicembre del 1993.