A differenza della selezione ufficiale, e di altre sezioni che avevano annunciato l’annullamento dell’edizione 2020 con il lockdown in Francia, la Quinzaine des Réalisateurs, lo spazio indipendente del Festival di Cannes nato tra i movimenti rivoluzionari del Sessantotto coi i cineasti che cercavano un cinema più accordato all’aria dei tempi, non ha annunciato una propria selezione. Né ha proposto una «label» a quei film che i suoi programmatori avevano visto, amato, in alcuni casi invitato – oppure ai quali avevano espresso qualcosa di più che un semplice interesse. Eppure come ci dice al telefono il suo delegato generale, Paolo Moretti, non era mai accaduto in tutta la sua storia, 51 anni, che la Quinzaine fosse cancellata. «Ci siamo trovati in una situazione inedita, perciò eravamo aperti a ogni soluzione» dice ancora Moretti che sull’argomento, all’indomani della selezione di Thierry Frémaux – seguita da quella della Semaine de la Critique- dichiarava al quotidiano «Le Monde»: «Un annuncio ufficiale ci sembrava incompatibile con la maggior parte dei film che stavamo considerando visto che molti tra loro hanno deciso di aspettare il 2021 o di rivolgersi a altri festival come San Sebastian, Venezia, Toronto».

Perciò alla Quinzaine hanno preferito comunicare «confidenzialmente» agli autori della loro shortlist – scelti su circa 1600 titoli visionati – il proprio interesse offrendogli invece che l’«etichetta» un sostegno nel percorso futuro.

LUI, Paolo Moretti, bresciano e cosmopolita (classe 1975), la macchina festivaliera la conosce bene, con un curriculum molto ampio di esperienze internazionali e cinefile – dal Centre Pompidou alla Cineteca di Madrid e di Lisbona, programmatore al Cinéma du Reel di Parigi, alla Mostra di Venezia – dove per molti anni ha lavorato accanto a Marco Müller. E poi la Festa di Roma, il Fid Marseille, Visions du Reel di Nyon. Non solo. In Francia ha diretto una sala a Le Roche sur Yon, sede anche di un festival piccolo ma che ha saputo rendere di grande impatto mondiale, e da quest’anno ha preso la direzione artistica di Les Cinémas du Grütli, a Ginevra, sala di prestigio tra gli appassionati di immagini in Svizzera e nel mondo.

MORETTI insomma si trova oggi al centro di quel confronto con le situazioni – sale, festival, produzioni cinematografiche – che la pandemia ha fragilizzato e posto in grande incertezza per il futuro – non vale solo per l’Italia dove alla data prevista di riapertura per i cinema saranno pochi a ripartire. E anche i festival, nonostante il lockdown sia finito continuano a prediligere lo streaming.
Les Cinémas du Grütli ha riaperto il 10 giugno – qualche giorno dopo la nostra chiacchierata – e tra mercoledì e domenica nonostante le norme di sicurezza ha fatto 715 spettatori, 20 in più dello stesso periodo lo scorso anno. Una bella notizia per il futuro. Con Paolo Moretti intatto abbiamo provato a fare il punto sul presente, il futuro ora, come ci dice, è da pensare con molta cautela.

In cosa consiste il sostegno ai film che avevate individuato per la Quinzaine? E quali priorità vi siete dati con l’annullamento dell’edizione?
Ci siamo messi subito a servizio dei film, abbiamo parlato con gli autori che avevamo invitato o che avevamo identificato come possibili nostri nomi per questa edizione. L’ipotesi dell’online è stata messa da parte rapidamente, non era praticabile per nessuno, e lo stesso quella della «label», Però c’era un lavoro fatto fin lì che andava considerato.

Quindi cosa avete fatto?
Avevamo una shortlist e siamo partiti da quella, abbiamo parlato con ciascuno degli autori, produttori, distributori proponendogli di accompagnare in sala se e quando uscirà, e a quel punto di indicarlo come un «film della Quinzaine». Oppure privatamente potevamo comunicare ai compratori internazionali questa nostra scelta per attirare la loro attenzione. La «label» ha generato scompenso nei festival, noi abbiamo preferito metterci all’ascolto dei nostri autori per aiutarli anche nella decisioni da prendere sul futuro, nelle scelte da fare, in quali festival andare, se aspettare il 2021. Da parte nostra c’è la più grande disponibilità specie perché i prossimi mesi non saranno semplici, le sale riaprono ma nessuno sa ancora quale sarà il contesto. Per quanto riguarda i festival se da una parte è vero che offrono l’occasione di un lancio per l’industria mondiale, dall’altra molti film non hanno ancora una data di uscita. La cautela è giustificata, siamo davanti a dinamiche nuove, è normale che ci siano molte incognite.

Diversi festival hanno scelto l’opzione online e anche le sale, almeno in Italia, continuano a proporre piattaforme Vod. Pensi che questo possa danneggiare le sale fisiche?
L’interesse verso le piattaforme va legato al contesto, anche così un passaggio in un festival può diventare interessante a fine promozionale. Non vedo però una contrapposizione tra sale e piattaforme – certo per capire meglio l’evoluzione si deve aspettare quando le sale ritorneranno un po’ più a regime – ci sono alcuni film che hanno funzionato uscendo in piattaforma. C redo che si devono trovare delle formule per far esistere le piattaforme senza danneggiare altri tipi di fruizione, dovremmo giungere a una «quadratura del cerchio» tale da rispettare le tipologie e i tempi di ogni film, perché alcuni funzionano online, altri invece hanno bisogno del grande schermo

Cosa avete scelto per riaprire Les Cinémas du Grütli?
Abbiamo invitato Basil Cunha, che è un regista svizzero-portoghese col suo ultimo film, O fim do mundo, in modo da permettere al pubblico di tornare in salacon la presenza dell’autore. Ci saranno poi una retrospettiva di Billy Wilder, l’anteprima di Love me tender di Klaudia Reynicke – anche questo con l’autrice. Sono un po’ delle prove generali per capire l’attitudine del pubblico, le misure impongono il distanziamento, con la metà dei posti in sala, e il tracciamento per prevenire quella seconda ondata che in molti temono – e che non è così invasivo come può sembrare perché è limitato a 14 giorni al termine dei quali i dati vengono distrutti. La sanificazione della sala alla fine di ogni proiezione non è un obbligo – anche perché è costosissima e complicata. Ci si affida a un senso di responsabilità individuale, con molte raccomandazioni, le mascherine, il cui utilizzo non è obbligatorio, disinfettarsi o lavarsi le mani. È anche vero che la percezione del pericolo in Svizzera dove ci sono stati 1600 vittime è sicuramente diversa che in Italia.

Da persona che vive dall’interno in sistema del cinema in diversi settori, quali sono a tuo avviso le criticità che si dovranno affrontare? E cosa potrebbe cambiare?
La pandemia è stato un momento rivelatore di tantissime fragilità in diverse filiere, non solo in quella cinematografica – è impossibile ignorare le dinamiche che si sono prodotte, il cambiamento se non lo stravolgimento di tanti parametri. Forse il recupero del pubblico sarà più lento, visto anche il tempo prolungato di chiusura, ma l’esperienza ci ha insegnato a non lanciarci in previsioni o in accelerazioni improvvise. Io navigo a vista, accetto questa situazione e cerco di capire cosa si può costruire. è ovvio che ogni caso, parlando di sale, è diverso, i multiplex seguono altre logiche, dipende dai sostegni economici che si hanno, dal tipo di struttura.