Data cruciale: 14 giugno 1979. All’Arena di Milano erano in sessantamila, in gran parte persone del «movimento» di allora, ad ascoltare il Concerto per Stratos. Il Concerto – destinato a rimanere nella memoria, nel culto persino – in omaggio a Demetrio Stratos morto il giorno prima, vocalista sperimentatore, uno che con le esperienze estreme intorno alla voce, al canto inaudito, estreme eppure tanto socializzabili (e portate ai Festival del Proletariato Giovanile), si era giocato la vita. Sul palco nello stadio tanti cantanti pop, rock e cantautori e un performer curioso, in frac, un pianista per l’occasione anche vocalista. Giancarlo Cardini eseguiva una composizione pensata proprio per lui da un autore che dell’autorialità come cosa solenne se ne sbatteva del tutto, anzi era un autore immenso che irrideva la soggettività conclamata e celebrata dell’autore. Questo compositore che aveva scritto qualche anno prima proprio per Cardini il Solfeggio parlante per voce sola si chiamava Paolo Castaldi.

NON È CHE PIACESSE molto ai sessantamila, Castaldi. Piangevano Demetrio ma preferivano Guccini, Vecchioni, Venditti, Finardi. A Cardini e al Solfeggio parlante castaldiano toccavano parecchi fischi e non di quelli che una volta si chiamavano «all’americana». Contraddizioni in seno al popolo, come diceva il presidente. Se Demetrio era sperimentale perché non amare un Castaldi che era sperimentale come lui più di lui? Non importa. Prima di tutto a Castaldi, che è morto novantenne l’altro ieri, non piaceva essere considerato sperimentale. Optava per un’idea un po’ di ricostruzione/decostruzione «oggettivistica» di frammenti del passato, e un po’ di gioco irridente, ironico, neodadaista. Ma guai a dirglielo e a classificarlo così. Lui, l’anti-austero per eccellenza, era a suo modo austero. Secondo lui il suo era un lavoro di affermazione della realtà semantica della musica. In una intervista di vent’anni fa demoliva quasi tutta la musica contemporanea dove non fosse rinvenibile «un significato verificare realmente dal punto di vista semantico».
Tuttavia questo compositore che è scomparso dai programmi di concerto ufficiali da decenni e che incarnava proprio lo spirito della contemporaneità come sottrazione ai dettami, ai dogmi, alle formule, amava il gioco musicale. Come non sentirlo appunto in quel Solfeggio parlante tutto fatto di fonemi, pezzo svitato, divertito, paradossale?

CERTO BEN CALCOLATO e serio da un punto di vista compositivo. Reso edonista dal grande Cardini. Oppure, tra le sue partiture minori, nel senso di meno conosciute nel suo enorme catalogo, quella Fughetta editoriale cavallo di battaglia del Trio Ars Ludi, percussionisti per l’occasione vocalisti: giochi ritmici irregolari, piacevoli da sentire, perché negarlo?, su parole del mondo editoriale e giornalistico. Una delizia. Aveva frequentato Darmstadt, Castaldi. E l’aveva rinnegata per quel tanto di prescrittivo che ne era uscito. Immenso. Misconosciuto. Meravigliosamente singolare.