Paolo Benvenuti, il regista che ha fatto della storia una materia incandescente per indagarne le zone oscure e renderla parte del presente (Il Bacio di Giuda, Confortorio, Gostanza da Libbiano, Tiburzi fino a Puccini e la fanciulla), racconta la sua collaborazione con Danilo Dolci, la scoperta del suo particolare metodo pedagogico maieutico, che metterà in pratica nella sua scuola di cinema Intolerance, nei corsi alla scuola Holden e al Centro Sperimentale e all’Università di Firenze. Una frequentazione che sarà l’occasione di realizzare il suo film Segreti di stato, svelamento di un capitolo della nostra storia.

L’anniversario dei cento anni dalla nascita di Danilo Dolci messaggero di pace sembra assumere ancora più valore in questo momento storico.
Lui aveva già previsto quello che sarebbe successo in questi anni, perfino i figli che uccidono i genitori: facendo l’analisi sul tipo di rapporti umani che si stavano sempre di più fossilizzando in maniera negativa, diceva: se si va avanti così vedrete che ci sarà una perdita totale di senso etico.

Quando lo hai incontrato?
Goffredo Fofi che aveva visto i miei film e ne aveva scritto anche cose importanti, mi aveva invitato a Palermo a un festival organizzato da Franco Maresco e Daniele Ciprì che mi hanno detto di portare due miei film. La prima sera proietto Il Bacio di Giuda e la seconda Confortorio. Goffredo mi ha presentato due sue amiche, Barbara Sorge e Letizia Battaglia. Al termine della proiezione Barbara dice che il film sarebbe piaciuto molto a Danilo. Nel ’68 lui per me era stato un mito, seguivo le sue battaglie civili, gli scioperi della fame, poi non avevo più sentito parlare di lui. Le chiedo se me lo fa conoscere, visto che abitava in un paesino vicino a Palermo, a Trappeto. La mattina dopo mi ha accompagnato: mi sono trovato davanti un gigante di due metri con occhi verde chiaro che ti passavano da parte a parte. Sono rimasto scioccato. Lei mi presenta: «Ti presento questo signore, è un regista». Lui mi guarda malissimo e mi fa: «Che brutta cosa». Questo è stato il primo incontro con Danilo Dolci.

Lui non amava il cinema, mi sembra di capire.
Gli ho chiesto: cosa c’è di male? lui dice: «È uno strumento trasmissivo facilmente usabile dal dominio (parlava in modo strano) per condizionare la coscienza della gente. Io lo volevo conoscere non per il cinema, ma per la pedagogia, ero un insegnante, sapevo che era un grande pedagogo, avevo letto i suoi libri di pedagogia. Io gli facevo delle domande, gli dicevo le mie impressioni, è stata una discussione straordinaria. Doveva essere un incontro breve, e invece siamo rimasti tutto il giorno e alla fine mi ha detto: «Ma perché non rimani a lavorare con me? da quello che mi hai detto ho capito che saresti un buon insegnante e perché sei un buon insegnante sbagli perché non devi fare l’insegnante, devi fare l’educatore. L’insegnante è uno che considera i bambini a cui insegna dei serbatoi vuoti da inseminare, da riempire, l’educatore invece, maieutico, parte dal presupposto che ogni essere umano è carico di una sensibilità straordinaria, è un artista, i bambini nascono tutti artisti.» Io gli ho detto « domani vado a Pisa, chiudo casa e torno» e così è stato, mi sono trasferito in Sicilia. Era il 1996.

Anche prima del ’68 ero rimasto molto colpito dall’esperienza di don Milani attratto dal suo metodo pedagogico, proveniente com’ero da una famiglia di insegnanti. Avere trovato questo straordinario personaggio che mi metteva in crisi le basi fondanti della pedagogia e mi proponeva altre soluzioni mi ha convinto a restare con lui fino alla sua morte avvenuta nel dicembre dell’anno dopo e ho cominciato a frequentare i suoi seminari. Questa cosa del cinema lo incuriosiva, voleva sapere che film facevo, avevo le cassette, gli ho fatto vedere prima Il bacio di Giuda e lo ha visto con grande attenzione. Mi ha chiesto: ce ne hai un altro? e gli ho fatto vedere Confortorio. Mi ha detto: «I tuoi film sono trasmissivi. I film sono prodotti frontali, non sono comunicativi, non c’è possibilità di interagire con un film, lo spettatore può solo subirlo. Anche i tuoi sono unidirezionali, ma hanno una caratteristica, sono «maieutici», producono parto di pensiero». Effettivamente i miei film pongono delle domande. Lui non sapeva nulla di cinema, non aveva televisione, sosteneva che questi strumenti fossero pericolosi perché essendo prodotti economicamente diretti sarebbero facilmente controllabili dal «dominio» (non diceva potere diceva dominio) per controllare le coscienze. «Però i tuoi film mi interessano» diceva, ma nel frattempo ci occupavamo dei seminari. A un certo punto mi dice: «Ho ripensato molto ai tuoi film, dovresti fare un film su Portella della Ginestra». Io non ne sapevo niente e mi porta sulla sua 850 scassata su per la montagna a mille metri di altezza vicino al suo paese su un pianoro: «Qui il primo maggio 1947 c’è stata una strage e mi racconta che hanno sparato su donne e bambini vecchi e mi dice: con il sangue di questa strage è stata battezzata la Prima repubblica. Poi si volta e dice: «vedi laggiù?» si vedeva la costa ovest della Sicilia, l’autostrada Trapani Palermo. «Laggiù c’è Capaci: col sangue delle vittime di quella strage è stata battezzata la Seconda repubblica». Io non capivo, avevo bisogno che mi spiegasse e comincia a darmi dei libri sulla storia della Sicilia a partire dalla storia dei Beati Paoli. Mi fa conoscere la realtà sociale economica culturale della Sicilia, sul dopoguerra, sull’occupazione degli Americani, sul banditismo.

Quando vede che sono abbastanza preparato mi dà un libro suo Banditi a Partinico e mi rendo conto che la sua analisi è straordinaria. Mi dice: «Adesso che sei preparato ti racconto che questa strage del primo maggio per cui è stato accusato il bandito Giuliano e la sua banda in realtà nasconde qualcosa di molto più grosso. Gli chiedo: «Ma tu come lo sai?» «Lo so perché nel 1956 avevo organizzato uno sciopero alla rovescia di braccianti». Cosa si può far fare a un centinaio di disoccupati? lui li aveva messi a riparare una strada rimasta dissestata dai tempi di guerra. «Questo era stato considerato dalle autorità un atto sovversivo, i carabinieri hanno sciolto la manifestazione e arrestato me e altri collaboratori. Ho passato tre mesi all’Ucciardone, era il ’56, sono andato a processo mi ha difeso addirittura Calamandrei padre della nostra Costituzione. In quei tre mesi ho incontrato i membri della banda Giuliano e gli ho detto: «Ragazzi ma cosa avete combinato a Portella della Ginestra?» e li ho intervistati. Poi andato nel suo ufficio, ha aperto un faldone e dentro c’erano interviste che lui aveva fatto ai banditi. Mi ha detto «se trovi elementi interessanti da approfondire, ricopiateli, però tieni presente che questa non è la verità, è il punto di vista dei banditi.» Io leggo tutte le interviste, la più interessante la riscrivo parola per parola, riportata poi in una scena del film. Poi mi invita a fare una ricerca seria, ritrovare gli atti del processo di Viterbo che fu fatto alla banda di Giuliano, poi le ricerche storiche. E la cosa importante sarebbe stato che togliessero il segreto di stato che gravava sugli atti di Portella.

Il 1 maggio del ’97 c’è stata la rievocazione di Portella della Ginestra. Io che ormai ero preparato sono andato all’anniversario della strage e come rappresentanti del governo c’era Ottaviano Del Turco che era presidente della commissione antimafia e Walter Veltroni che vicepresidente del consiglio del governo Prodi. Danilo che conosceva bene Veltroni disse che avrebbero dovuto desecretare le carte, visto che avevano il potere di farlo. Poi Danilo si ammala e peggiora. Dopo un po’ ci arriva la comunicazione che era stato desecretato tutto quello che faceva parte della commissione antimafia, e ci arrivano nove volumi di carte, 9000 documenti che io leggo. Dopo poco la morte di Danilo è caduto il governo Prodi è venuto il governo D’Alema e il problema della desecretazione degli atti è finita.

L’unica cosa interessante di quelle carte erano le ultime pagine dell’ultimo volume, l’inchiesta della la morte di Pisciotta avvelenato con la medicina che il dottore gli aveva dato tre giorni prima della morte e lì ho scoperto che Pisciotta non era stato avvelenato con il caffè, come ho raccontato nelle scene finali. Danilo si è fatto promettere che avrei fatto il film, infatti l’ho dedicato a lui.

Segreti di stato è stato l’unico mio film su commissione. Lui mi ha commissionato il film.