«Volevamo esorcizzare alcune delle nostre paure più profonde, il filtro dell’ironia ci ha permesso di trasmettere contenuti importanti evitando di prenderci troppo sul serio». Con queste parole Paola Stella Minni – danzatrice bolognese legata al centro coreografico Le Pacifique di Grenoble, un passato da interprete per i Motus e Cristina Rizzo, tra gli altri – racconta lo spettacolo PA.KO Doble presentato in coppia con il danzatore greco Konstantinos Rizos al festival di Santarcangelo. Il titolo rimanda al paso doble, la danza spagnola nata per accompagnare l’entrata delle quadriglie all’inizio della corrida, una fascinazione che deriva dalla potenza di quel rituale e dalle forze che evoca: «Ci trovavamo a Nîmes, dove interpretavamo le Dance Constructions di Simone Forti confrontandoci con la postmodern dance. Nel sud-ovest della Francia c’è una forte tradizione legata alla tauromachia, così siamo andati a vedere alcune corride e nonostante io sia vegetariana e avessi grandi riserve, devo dire che è stato un incontro fortissimo. Ogni gesto è estremamente codificato, poter osservare la morte così da vicino credo abbia una funzione liberatoria, di allontanamento. Il pubblico è molto consapevole e aspetta con trepidazione il momento del ’duende’, ovvero l’arrivo di uno spirito che crea sospensione ed estasi impossessandosi del torero».

DEL DUENDE i due danzatori propongono due buffe incarnazioni sulla scena, inserendo poi voci e parole di autori che allo spirito oscuro hanno fatto riferimento come motore per la creazione artistica, da García Lorca a Roland Barthes e Nick Cave. Il riferimento alla tauromachia prosegue con una serie di tableaux vivants ispirati al paso doble che mettono però da parte la forte caratterizzazione del ruolo maschile e femminile propri di questa danza, inventando invece una geografia di modi per stare vicini, stringersi, sostenersi. Un ulteriore livello di lettura infatti è radicato nella forte intimità che lega i due interpreti, creatasi «condividendo lungamente uno spazio, stando insieme in un processo»; per questa ragione il titolo dello spettacolo racchiude le iniziali dei nomi dei due danzatori. Una vicinanza che permette loro di affrontare con disinvoltura una lunga scena di nudo, mettendo da parte ogni voyeurismo i genitali si mostrano nella loro grazia, come racconta Minni: «Quella parte proviene da un’improvvisazione in cui cercavamo di aderire al suono, cercando di capire come può danzare una parte del corpo per se stessa. Giochiamo un po’ su una trasgressione, ma in realtà ci interessava molto di più rendere poetica quell’immagine. Credo che nella durata prolungata ci si scordi quasi di quali organi siano, diventando solamente delle forme». Ed è proprio a partire dall’immediatezza della presenza, nell’esserci senza altri rimandi, che si apre una riflessione importante: quella sulla paura come forza che ci proietta continuamente in un ipotetico futuro, impedendoci di esperire il presente.

La temporalità è un tema caro al duo e sarà al centro di due lavori dal prossimo debutto: il primo, Kill Tiresias, ruoterà intorno alla preveggenza; il secondo, Right Now, prenderà spunto dal ghigno invocante il «qui e ora» dell’anarchia nel Regno Unito secondo Johnny Rotten per parlare del punk. La musica peraltro è molto presente in PA.KO Doble dove viene suonata dal vivo dagli stessi interpreti; nel continuo rimando tra presenze in scena e voci fuori campo, le parole del maestro di yoga tantrico Eric Baret prefigurano una dimensione tattile, un campo percettivo non mediato, mentre la coreografa Yvonne Rainer parla del proprio corpo come dell’unica «persistente realtà» di fronte allo sfacelo del mondo circostante. «Ma tra la teoria e la pratica c’è n’è di strada da fare», scherza Minni, «noi abbiamo provato a portare sul palco una dimensione giocosa». La paura, la violenza, il sacrificio, l’ispirazione creativa, la morte, l’unione invocati con la leggerezza di due bambini che danzano.