A pochi giorni dal voto, il panico comincia a emergere nei partiti di governo, nel Ps al potere e in seno all’Ump a destra. I sondaggi si susseguono e, costantemente, rivelano che molto probabilmente il 25 sera il Fronte nazionale sarà il primo partito di Francia. Secondo l’ultima inchiesta Ipsos, dovrebbe arrivare al 24%, superando l’Ump al 22. Mentre i socialisti sono dati molto dietro, al 17,5%. E se ai voti del Fronte nazionale si addizionano quelli di altri partiti alla destra della destra, in particolare Debout la France del sovranista Nicolas Dupont-Aignan e Force Vie dell’ultra cattolica Christine Boutin, l’estrema destra arriva al 28%.

Al Quai d’Orsay, al sottosegretariato agli Affari europei, già temono i titoli dei grandi giornali del mondo. Anche se l’estrema destra raccoglierà molti voti anche altrove, la Francia, per l’importanza del paese, focalizzerà l’interesse mondiale. La presa di distanza dalla costruzione europea e l’euroscetticismo guadagnano terreno: solo il 39% dei francesi giudica l’appartenenza della Francia all’Ue «una buona cosa», il 19% pensa di essere «soltanto francese», il 46% «più francese che europeo» (solo il 32% si sente «altrettanto francese che europeo»).

Come si è arrivati a questo punto in uno dei grandi paesi fondatori del progetto europeo? Certo, c’è la crisi, la crescita zero (confermata nel primo trimestre di quest’anno), la disoccupazione che non cala (più di 3 milioni di persone senza lavoro, che salgono a 5 se si include chi ha lavorato qualche ora nell’ultimo mese). C’è la delusione provocata dalla mancata realizzazione delle promesse del presidente Hollande, che aveva dichiarato «il mio nemico è la finanza» e assicurato che avrebbe cambiato le scelte di austerità, attribuite a Bruxelles. Ma c’è qualcosa di più. All’origine c’è quello che i francesi considerano un non rispetto del loro voto, il tradimento del «no» al referendum sul Trattato costituzionale del 2005, che poi si è tradotto nel voto solo parlamentare del Trattato di Lisbona nel 2009, che riprende grosso modo tutti gli elementi del testo respinto nel 2005.

La campagna elettorale dell’estrema destra è partita proprio da questo tema. E lo ha declinato sotto tutti i suoi aspetti: la mancanza di «protezione» da parte della Ue aperta ai venti gelidi della mondializzazione e che ha causato «la disoccupazione di massa», le frontiere che lasciano passare tutti, un allargamento che ha favorito «l’invasione» dei rom, le «regole assurde» che colpiscono le produzioni agricole tradizionali, un’economia e una moneta «costruite dalla Germania per la Germania».

«Sì alla Francia, no a Bruxelles» dice lo slogan di Marine Le Pen, «La Francia è bella, proteggiamola», ritroviamo la «nostra sovranità», anche monetaria – uscendo dall’euro – per «attenuare la politica di austerità», contro gli eurogagas (gli «eurorincoglioniti») di destra e di sinistra. Marine Le Pen non va al di là di questi slogan, non approfondisce. Non ne ha bisogno – non ne avrebbe le argomentazioni per difendere le sue posizioni – ma anche perché è l’euroscetticismo che ha dato il là alla campagna di tutti. Al punto da destabilizzare l’Ump, il partito della destra di governo ormai chiaramente spaccato sull’Europa, con una fronda euroscettica già consistente.

A pochi giorni dal voto, l’ex presidente Nicolas Sarkozy, che aveva fatto capire che sarebbe intervenuto con una dichiarazione pubblica, ora esita, perché sente la vittoria dei nemici dell’Europa. Per i sociologi Luc Boltanski e Arnaud Esquerre, la destra «affascinata dall’estremismo», è paralizzata. Il cursore si sposta a destra e l’estremismo sta vincendo la battaglia dell’egemonia culturale. Marine Le Pen ha realizzato questa svolta, cambiando la posizione dell’Fn, che ai tempi del padre Jean-Marie era liberista e oggi viene individuato come il principale oppositore alla mondializzazione. Contro il «sistema», il Fn si pone come il difensore dell’identità francese, del «vero popolo» che vive nelle zone periferiche delle villette individuali e ha comprato la macchina diesel, mentre ora i bobo del centro vogliono tassare il carburante inquinante. Marine Le Pen non ha neppure più bisogno di prendersela direttamente con gli immigrati, non si è neppure schierata chiaramente con gli ultrà anti matrimonio gay. Le basta difendere la «laicità» tradizionale francese per parlare al cuore del popolo scombussolato, recuperando temi e metodi elaborati a sinistra, storcendone la direzione, annullandone la generosità. Una ricetta che ha già avuto un relativo successo alle municipali dello scorso marzo.