Dopo le eclatanti distruzioni subite tra il 2015 e il 2017, Palmira sembra essere tornata nel silenzio in cui rimase sepolta per secoli.

La cacciata dei jihadisti dell’Isis, colpevoli di aver abbattuto i monumenti principali della Città carovaniera e macchiatisi dell’assassinio di Khaled al-As’ad – direttore del sito archeologico per quasi mezzo secolo –, ha lasciato una distesa di macerie: colonne spezzate, elementi architettonici ridotti in frantumi e la consapevolezza che niente tornerà a splendere come prima.

Persino nel cielo siriano non c’è più nulla da contemplare mentre la guerra squarcia le notti con missili e bombe.

Si dice che il patrimonio archeologico sia una delle centinaia di migliaia di vittime del conflitto e se piangere le pietre è forse un sacrilegio, ricordarle serve a serbare la memoria di un popolo antichissimo.

Questo intende fare anche Maria Teresa Grassi, che con Palmira. Storie straordinarie dell’antica metropoli d’Oriente (Edizioni Terrasanta, pp. 160, euro 16) offre a un pubblico di non specialisti l’occasione di rievocare l’unicità della Sposa del deserto.

L’autrice, docente di Archeologia delle province romane presso l’Università di Milano, conosce bene il sito, avendo condotto – dal 2007 al 2010 – un progetto di ricerca (Pal.m.a.i.s) in collaborazione con Waleed al-As’ad, figlio di Khaled.

Il libro ha una struttura agile, con una divisione in capitoli tematici dal titolo accattivante.

Ritratto funerario da Palmira
Ritratto funerario da Palmira

 

Alla sintesi storica dell’introduzione, segue un breve ritratto di Giovanni Battista Borra, l’architetto piemontese che – ingaggiato da due «rampolli» del Grand Tour per un’esplorazione nel Levante – nel 1751 disegnò le prime magnifiche vedute di Palmira, poi pubblicate nel celebre volume di Robert Wood, The ruins of Palmyra otherwise Tadmor in the desert. Il racconto della città ellenistico-romana procede dunque tra descrizioni di monumenti – la Via Colonnata, i Templi di Bêl e Baalshamin fatti saltare in aria dai soldati del Califfo al-Baghdadi, le Torri funerarie anch’esse gravemente danneggiate dagli esplosivi dopo esser state depredate – e notizie sulla vita nell’oasi: commerci, riti e intrighi politici.

Particolarmente suggestiva la sezione in cui Grassi descrive i ritratti funerari – ne sono stati catalogati circa tremila –, che hanno restituito volti, abiti e gioielli degli abitanti di Palmira.

Non poteva mancare, infine, uno spazio dedicato a Zenobia, che l’autrice chiama «regina» secondo una definizione contestata da studiosi quali Maurice Sartre e Annie Sartre-Fauriat.

Se la consorte di Odenato – un potente notabile fedele a Roma – non fu mai a capo di un regno, alla morte del marito osò però fronteggiare i Romani con l’ambizione di proclamarsi imperatrice d’Oriente.

Eroina dei ribelli del passato, in tempi moderni Zenobia è divenuta un simbolo della lotta contro i colonizzatori.

Al di là di derive ideologiche e dibattiti scientifici che non trovano posto in un saggio rivolto soprattutto al grande pubblico, la Palmira di Maria Teresa Grassi è il viaggio attualmente impossibile in uno dei siti più straordinari del Mediterraneo, patrimonio dell’umanità dal 1980.

Quando la pace sarà finalmente tornata in quel lembo di terra oggi martoriato, un’importante sfida attende le nuove generazioni: curare le ferite della Sposa del deserto e riportare alla luce le storie che resistono assieme al popolo siriano.