Ci sono volute settimane ma alla fine Berlusconi ha deciso, annunciando di persona la sofferta scelta nel forum dal vivo Ansa-Facebook: la manifestazione unitaria del centrodestra si farà. Domani alle 18, a Roma, Eur, al cinema Atlantic. «Doveva essere un appuntamento nostro ma l’abbiamo allargato a tutti», annuncia in contemporanea, da Unomattina, Matteo Salvini.

Poi però arriva il contrordine. Nessuna manifestazione. Solo una conferenza stampa al Tempio di Adriano, alle 15, poi ognuno a casa propria e Silvio in tv. Sempre che le cose non cambino, in un senso o nell’altro. Non c’è segno più tangibile dell’indecisione di Berlusconi. Era partito con l’alleanza postelettorale con Renzi come obiettivo. Ma i sondaggi non confortano, la vittoria della destra appare adesso la possibile carta vincente. Così Berlusconi cassa ufficialmente quella che era all’inizio l’opzione principale: «Ci siamo impegnati a non fare grandi coalizioni». Ma resta convinto fino a un certo punto. Esita. Frena.
Parlano, come al solito, i sondaggi e dicono che mentre la trojka di destra può farcela i numeri per resuscitare il Nazareno non ci saranno. Berlusconi trae le conseguenze e lo fa anche, con toni da allarme rosso, Le Monde. Proprio quello, scrive nell’editoriale, sarebbe «lo scenario più favorevole all’integrazione dell’Italia nella Ue». Purtroppo «risulta sempre più improbabile», al contrario dello scenario peggiore: la vittoria di «una coalizione di destra in cui la Lega avrebbe la meglio sulla destra berlusconiana».

Decisiva sin dal primo secondo per gli equilibri della destra, il duello tra Silvio e Matteo si profila ogni giorno di più come possibile chiave complessiva della prova elettorale. Se la destra otterrà la maggioranza parlamentare ne dipenderà il nome del futuro presidente del consiglio. Se non vincerà nessuno potrebbe dipenderne la sorte di una legislatura che corre il rischio di morire in culla.

Ieri l’ex Cavaliere è tornato a spendere la candidatura di Antonio Tajani. A tre giorni dal voto è impossibile che cali una carta a sorpresa: il cavallo su cui punta è proprio il presidente del Parlamento europeo, forse l’unico esponente di una destra certo non amata dalla Ue che potrebbe rabbonire Bruxelles. Salvini fa il leale: «Se vince Fi, io certo non porto via il pallone».

Però quella di Arcore non è affatto una vittoria scontata. Gli alleati-duellanti lo sanno benissimo entrambi. Fi è ancora in testa nei sondaggi ma non tanto da non essere a rischio di sorpasso nella corsa finale.

Il leghista sa quindi che domenica giocherà la partita della sua vita e non lo nasconde: «Non siamo mai stati così vicini al raggiungimento del nostro scopo». E’ una partita difficile: richiede sforzi di equilibrio quali il ruggente Matteo non aveva mai azzardato. Prima di tutto, incalzato da Berlusconi e smentendo se stesso, scarica CasaPound. «Non abbiamo né avremo nulla a che fare con loro», va giù per una volta tassativo l’ex Cavaliere. Il capo leghista si piega e concorda: «Grazie tante ma non ho bisogno dei voti degli altri e non mi interessano». Allo stesso tempo Salvini deve affrontare l’offensiva del «nemico interno», Bobo Maroni, che lo accusa , dal Foglio, di aver dimenticato il federalismo, un tempo vessillo del Carroccio. E’ un terreno scivoloso, perché in effetti la parola un tempo magica non è praticamente mai stata pronunciata dal leghista in questa campagna elettorale. Salvini para il colpo: «Se Zaia e Maroni vanno a firmare il preaccordo sull’autonomia di Veneto e Lombardia è perché la Lega è forte. A me interessano i risultati».

Il campione della lotta contro l’immigrazione ha anche preso carta e penna per rispondere alla mamma di due bambini africani che, in una lettera postata su Fb, lo aveva accusato di terrorizzare i suoi bambini, che avvertono la minaccia di essere cacciati: «Sbaglia, lo dico da papà. Basterebbe che spiegasse si suoi figli che allontanerò delinquenti, clandestini e spacciatori, certo non bambini». Sul clima di intolleranza e razzismo fomentato dalla Lega e denunciato da Gabriella Nobile, la madre dei bimbi, però il Ringhoso preferisce glissare.

C’è un’ultima novità nella destra italiana, non secondaria. «Se si dovrà rivotare tra un anno sono a disposizione come candidato premier», annuncia Berlusconi, contando sull’accoglimento del ricorso a Strasburgo contro l’ineleggibilità. Se non si troverà una formula ci vorrà uno spareggio. I protagonisti saranno la destra e M5S. Nel caso, il candidatissimo non vuole perdersi la festa.