Alla fine ce l’ha fatta. Gulalai Ismail è riuscita ad abbandonare il Pakistan e raggiungere New York, dove vive la sorella. L’attivista pachistana per i diritti umani era ricercata da mesi dalle autorità di Islamabad con l’accusa di tradimento per aver denunciato le violenze di polizia ed esercito soprattutto nei confronti di donne e ragazze. «Se fossi finita in prigione e torturata per molti anni, la mia voce sarebbe stata messa a tacere», ha detto.

Ad attirare l’attenzione delle autorità, l’attività di Ismail al fianco delle donne vittime di abusi sessuali durante una violenta repressione dell’esercito al confine con l’Afghanistan avvenuta lo scorso gennaio. «Decine di donne erano venute a dirmi che l’episodio delle molestie sessuali non era unico, ma sistematico», ha spiegato al New York Times. «Avveniva ormai da anni». Ismail aveva anche sostenuto le proteste dei Pashtun, una minoranza etnico-linguistica che vive nel Paese, contro le violazioni dei diritti umani da parte dei militari e della polizia. A maggio era cominciata la sua latitanza. L’attivista era stata arrestata per la prima volta all’aeroporto di Islamabad nell’ottobre 2018. Nel febbraio di quest’anno era stata poi nuovamente arrestata durante una protesta per la morte dell’attivista pashtun Arman Luni, morto in carcere in seguito alle violenze subite dalla polizia.

A marzo le era stato confiscato il passaporto. «Gli ultimi mesi sono stati terribili. Sono stata minacciata e molestata. Sono fortunata ad essere viva», ha raccontato. Ismail non ha rivelato molti dettagli circa la sua fuga, per non mettere a repentaglio «la piccola rete» che le ha permesso di fuggire attraverso lo Sri Lanka. I suoi genitori, invece, ancora in Pakistan, sono accusati di aver finanziato il terrorismo. Gulalai Ismail è anche la fondatrice della Ong «Aware girls» che ha lo scopo di rendere le ragazze consapevoli dei loro diritti.