La globalizzazione ha portato in Italia lavoratori proveniente dal Subcontinente indiano e con loro il cricket, dopo il calcio secondo sport al mondo per numero di praticanti. Italian cricket club (add, 14 euro), scritto da Giacomo Fasola, Ilario Lombardo,Francesco Moscatelli, è un viaggio lungo la Penisola alla ricerca di storie di cricket che hanno incrociato i destini e le vite di lavoratori pakistani, indiani, bengalesi di prima e seconda generazione. In molti casi questo sport ha fatto di più di qualsiasi politica di integrazione, annunciata e mai realizzata. Spesso il campo dove si gioca a cricket è momentaneamente sottratto a un fazzoletto verde dove si gioca a calcio, altre volte le squadre hanno vita breve perché manca un campo dove allenarsi. A Venezia, raccontano gli autori, c’è il vivaio più promettente del cricket nostrano, grazie a una pallina galeotta finta sulla vetrata dello studio di un architetto, che solo allora si accorse di quei ragazzi che giocavano a pochi metri dal suo ufficio e due giorni dopo la squadra era già pronta, il Venice Cricket. Ma la squadra più forte, quella che le ha suonate anche agli inglesi, padri fondatori di questo sport, importato nelle colonie durante la dominazione, si trova a Pianolo, un piccolo centro sui colli bolognesi. Tre ragazzi che nel 2009 in un parco di Brescia giocano a cricket, sono stati multati di 130 euro, la giunta di centrodestra aveva appositamente modificato il regolamento municipale, nei parchi era vietato praticare questo sport. Uno dei tre, l’elettrecista Fida Hussain faceva parte della nazionale italiana di cricket, composta da praticanti del luogo dove vivi e non di provenienza. Il libro è un’indagine sociale e politica, che attraverso il cricket racconta integrazioni e discriminazioni.

Un viaggio dorato, invece, lo hanno fatto alcuni oriundi dell’America Latina, che sul finire degli anni Cinquanta e fino ai primi Settanta del secolo scorso, animarono il calcio italiano. Sivori, Angelillo, Altafini, Liedholm, Hamrin, Haller, le loro giocate, i loro ritratti, quegli anni del boom economico, i “ricchi scemi” dei presidenti del calcio nostrano da Lauro a Moratti, che spendono fior di miliardi di lire per ingraziarsi il pubblico, offrendo loro i beniamini di turno, sono descritti da Massimo Raffaelli, che ha raccolto gli articoli scritti principalmente per il manifesto e Alias ora pubblicati nel volume La poetica del catenaccio (Italic, 16 euro). Raffaelli non trascura il calcio moderno, gli schemi di gioco, i calciatori come Messi e Ibraimhovic, ma anche quelli neri, come Sissoko fino all’ebreo di pelle scura Winter oggetto di discriminazioni razziali. I pezzi forti del libro riguardano il rapporto tra la letteratura e il calcio, il tifo sfegatato di scrittori raffinati, da Soldati ad Arpino, da Rushdi a Ungaretti, di poeti come Giudici e Raboni, genoano il primo e interista il secondo, di Pasolini tifoso del Bologna e il poeta di Luino Vittorio Sereni frequentatore di San Siro, intellettuali che polemizzano tra loro sul calcio e a volte sulla squadra del cuore. Un libro che spazia dalla letteratura al calcio e va nella direzione contraria al Pensiero Unico del Bar Sport televisivo e dei quotidiani.

Lo sport giocato fuori dagli stadi, sui campetti spelacchiati di periferia, e l’attività sportiva praticata dai cittadini possono rappresentare una chiave di lettura dei mutamenti sociali e culturali, il sensore delle politiche del walfare . E’ quanto analizza il libro scritto a più voci Lo sport degli europei (Franco Angeli, 31 euro), curato da Anna Maria Pioletti e Nicola Porro, che attraverso un’indagine approfondita analizza il sistema sportivo europeo nelle sue varie sfaccettature, dai movimenti di azione collettiva alle politiche dei governi dei paesi dell’Ue. Lo sport spettacolo, principale strumento di intrattenimento collettivo su scala europea, può convivere con lo sport dei diritti e dell’inclusione sociale? Qual’è il rapporto tra lo spazio urbano nelle varie città europee e il benessere del corpo?

Il ruolo assegnato alle attività fisico-sportive in un arco di tempo che va dal 1794 al 1915, nel corso del quale si compiono il processo risorgimentale, l’Unità d’Italia e si dipanano le complesse vicende dell’Italia liberale. Corpi per la patria ( sedizioni, euro 15) di Felice Fabrizio, analizza i due compiti principali assegnati al corpo in quei 130 anni: mettere a disposizione della patria da edificare corpi robusti, mansueti e addestrati, e concorrere all’unità spirituale di una nazione che ha una fragile identità. Due obiettivi che caratterizzano la netta prevalenza dello spirito patriottico e militaresco, che segnerà marcatamente le attività fisico sportive fino al secondo dopoguerra del Novecento.

Corpi dati alla guerra partigiana, sono quelli dei campioni di ciclismo, calcio, alpinismo e perfino delle auto da corsa, che seppero schierarsi con grande coraggio. Sport e Resistenza (sedizioni, euro 15) di Sergio Giuntini, è un libro che segna un’inversione di tendenza, che vorrebbe gli sportivi tutti aderenti alla Repubblica di Salò. Dopo aver scavato negli archivi della storiografia sportiva, Giuntini racconta le storie di campioni, anche di rugby, sport assai caro al regime, come Battagion del Rugby Milano, che aderì alla Resistenza, catturato dai nazifascisti finì a Dachau, dove fu liberato il 25 aprile del 1945 e giocò in Nazionale fino al ’48.