L’avanguardia del design si conferma anche quest’anno essere legata non tanto all’oggetto in sé, concepito come still life, quanto piuttosto alla spazialità, all’ambiente, al paesaggio in cui l’uomo e i suoi manufatti devono tornare a inserirsi in armonia. Tecnologie avanzate, materiali sempre più innovativi, ma la parola d’ordine torna a essere il rispetto per la fonte primaria di tutto ciò: la natura. E ancora una volta l’ordine arriva da Oriente, dal Giappone in particolare, quest’anno presente oltre ogni aspettativa al Salone e più consapevole che mai della necessità di tornare a vivere in armonia con la natura e accettarla.

Nao Tamura, la giovane creativa, già nota per la leggerezza e la poesia delle sue creazioni presentate negli anni passati come Seasons, i piatti in silicone in forma di foglia, o Alight, luci al led trasparenti come ali di libellule, quest’anno propone oltre al set di piatti Sasso, in legno e pietra levigati, dalle forme irregolari come ciottoli (per Discipline), un’installazione intitolata Interconnection. Si riferisce alla tragedia del 2011 spiegando l’origine del progetto (realizzato per Lexus) e a quanto quei fatti abbiano cambiato la consapevolezza del rapporto tra uomo e natura, facendo sentire la fragilità dell’essere umano al cospetto di essa e la necessità di accettarla, imparando a conviverci.

La struttura fluttuante proposta da Tamura, fatta di lamelle di plastica trasparenti e rotondeggianti, tenute insieme da un sottile filo metallico, ma lasciate libere di muoversi nello spazio in un equilibrio etereo, evoca l’impermanenza, il continuo mutare delle forze della natura, ricordando che «anche la più piccola azione può influenzare ciò che circonda con effetti su scala molto più grande di quanto si possa immaginare».

Rigore e tradizione

Una leggerezza e una versatilità che accomuna anche il lavoro dei giovani Torafu Architects conosciuti per i loro Air vase di carta lavorata a rete, ripiegabili e dilatabili come sculture d’aria, ma che quest’anno hanno confermato la loro capacità di reinventare la tradizione con l’installazione per il gruppo Panasonic che parla di concetti abitativi.

È senza dubbio la vista più incredibile del Fuorisalone quella associata a questo progetto, uno scorcio che vale tutto il Salone. Pochi l’avranno scoperta, perché si gode solo da una precisa angolazione e alzando lo sguardo al cielo da uno dei chiostri più belli della sede storica dell’Università degli Studi di Milano, un movimento poco consono alla giostra delle installazioni. Intorno, l’avvolgente infilata di archi e colonne e l’impatto dell’intonaco bianco sul rosso dei mattoni del porticato di pianta rinascimentale del Cortile della Farmacia; oltre i tetti, la sagoma appena visibile, compatta e imponente della Torre Velasca, simbolo della Milano degli anni Cinquanta; al centro del cortile un’abitazione bianca, candida ed essenziale, che richiama all’occhio occidentale l’architettura giapponese per antonomasia: la straordinaria villa Imperiale di Katsura, costruita a Kyoto dal principe Toshihito a inizio Seicento, e che ispirò i grandi maestri del Novecento, Walter Gropius, Frank Lloyd Wright, Bruno Taut, rivoluzionandone il pensiero e aprendo nuove frontiere all’architettura contemporanea.

Una combinazione perfetta di architettura e natura, di trasformazione del paesaggio come elemento estetico e culturale, di integrazione di elementi rigorosi e simmetrici con altri imperfetti e irregolari.

Oggi ciò che i Torafu propongono è una struttura tutta sviluppata in orizzontale con le pareti scorrevoli lungo corsie d’acciaio che ricordano le porte scorrevoli interne di carta delle case tradizionali (fusuma), ma anche quelle che separano l’ambiente interno da quello esterno (shoji), come si capisce dal titolo del progetto Sliding Nature.

Come Tamura, anche Suzuno Koichi parla della necessità di «stabilire un nuovo rapporto con la natura, con il paesaggio, integrando l’energia attiva prodotta dalle tecnologie con quella già donata dalla natura». E lo fa tornando al passato, riscoprendo la propria tradizione architettonica che concepiva spazi aperti, fatti di elementi mobili e adattabili alle occasioni, agli usi, alle stagioni: pannelli scorrevoli, paraventi, tende e cortine, ventagli.

La finestra-paesaggio

Oggetti architettonici e al contempo elementi d’arredo e design, che permettevano di gestire spazio, luce e calore, e che hanno in questo senso influenzato anche la concezione dello spazio abitativo occidentale: sempre più sviluppato orizzontalmente e integrato nel paesaggio, con grandi vetrate e separazioni sempre meno nette tra dentro e fuori per appropriarsi della natura come elemento architettonico primordiale.

E mentre Torafu parla di «abitazione che respira» attraverso le porte, Yoshiharu Tsukamoto dell’Atelier Bow-Wow di Tokyo, in un angolo del Cortile principale dell’Università di Milano, promuove la «scienza della finestra» (Windowology) attraverso il progetto «WindowScape». La finestra diventa il punto d’incontro del comportamento della natura e dell’essere umano. Non solo. Essa diventa apertura che appartiene allo spazio privato e al paesaggio urbano, a chi sta dentro e a chi sta fuori, e a seconda della relazione che si instaura tra questi elementi si creano condizioni pratiche e concettuali differenti, che parlano di cultura prima ancora che del singolo individuo.

È uno spaccato che sembra parlare di un design sempre più sensoriale, oltre la funzionalità fisica per toccare corde sempre più profonde dell’essere e avvolgere a tutto tondo.

Tanto vale fare un giro nella «Kaleido-window», frutto di tanta esperienza accumulata da Bow-Wow tra le finestre del mondo, e lasciarsi proiettare nelle infinite possibilità del prisma, prima di ritrovare la calma però tra le classiche porte scorrevoli o gli archi rinascimentali, guardando un giorno a Oriente, alla ricerca della leggerezza e del calore della carta, e l’altro a Occidente, per sentire la forza e l’energia della pietra.