Gender in Veneto è sinonimo di censura, stigma, divieto e rimozione. Con i sindaci in prima linea in difesa della famiglia cattolica e «tradizionale». Ha cominciato il nuovo «doge fucsia» Luigi Brugnaro impedendo la lettura pubblica dei 49 libri per l’infanzia. Replica negata nella sala Valeri a Padova, con il leghista Massimo Bitonci che il 5 ottobre ha fatto approvare dal consiglio comunale una mozione che impegna l’amministrazione a «vigilare affinché non venga introdotta e promossa la teoria del gender e venga al contempo rispettato il ruolo della famiglia nell’educazione all’affettività e alla sessualità».

Così sabato pomeriggio il Comune non aprirà nemmeno la sala Paladin a Michela Marzano, 45 anni, filosofa che insegna morale alla Sorbona di Parigi, deputata Pd e autrice del libro Papà, mamma e gender (Utet) che Arcigay contava di presentare in pubblico. Permesso non autorizzato dall’ufficio di gabinetto del sindaco perché «la richiesta di una sala comunale per la presentazione di un libro che avvalora la teoria gender si pone in antitesi rispetto all’indirizzo programmatico dell’amministrazione su tale tematica». L’appuntamento prevedeva anche gli interventi del presidente di Arcigay Mattia Galdiolo e di Alessandro Zan, ex assessore comunale di Sel ora deputato Pd. A questo punto, diventa obbligato il trasloco per censura alla libreria delle donne Lìbrati.

«Cado dalle nuvole, ma soprattutto mi cadono le braccia: non riesco a capire se c’è ignoranza o se è proprio volontà di censurare, che sarebbe grave» commenta sconsolata Marzano a Claudio Malfitano nell’intervista che Il mattino di Padova pubblica oggi. «Il mio non è un libro militante né gender. Bisogna riaprire il dialogo, ricominciare dall’abc per capire cosa c’è dietro queste tematiche. E cerco di spiegarlo ai genitori spaventati. Prendo sul serio la loro paura. Ma bisogna parlarne, discutere, cercare di spiegare la necessità di prevenire la violenza di genere e il bullismo. L’unico modo è l’educazione» aggiunge. E al divieto leghista replica così: «Mi sembra davvero paradossale: questo è un libro che apre al dialogo. Se non c’è libertà di opinione, andiamo verso una forma di dittatura e trasformiamo tutto in insulto. Comunque sarò a Padova, un’occasione importante. Bitonci? Venga nella libreria delle donne e discutiamo. Lo ascolterò con molto piacere. Ciò che il sindaco, forse, non vuole fare con me…».

Ma a palazzo Moroni sono abituati a governare a colpi di diktat, senza troppi complimenti. Del resto, archiviato il ventennio di Flavio Zanonato, il centrosinistra deve sempre riprendersi dalla clamorosa sconfitta elettorale del 2014 e dal flop di Alessandra Moretti alle regionali di primavera. Tocca così all’associazionismo restare nella trincea dell’alternativa alla Lega, come già era successo con la manifestazione «Padova accoglie» in difesa dei diritti dei profughi che la giunta Bitonci vorrebbe cacciare dall’ex caserma Prandina.

Ora si chiudono anche gli spazi pubblici: «Il diniego delle sale comunali da parte del sindaco è palesemente incostituzionale – spiega incredulo Galdiolo di Arcigay – Sulle questioni di genere il Comune ha ospitato finora iniziative volte solo a seminare panico e disinformazione». Il caso è tutt’altro che chiuso: si profilano azioni legali e ricorsi in difesa del diritto alla libera espressione delle idee. Tanto più che la giunta Bitonci ha già sbattuto la porta delle sale comunali perfino in faccia ad Amnesty International per un convegno sull’Islam e a Paola Tellaroli perché «scrittrice non padovana».