Il commissario uscente e vicepresidente entrante Katainen è soddisfatto. Fa sapere di aver apprezzato la «collaborazione costruttiva dell’Italia», commentando la letterina a lui personalmente inviata, con qualche giorno di ritardo, dal ministro dell’Economia Padoan in risposta alla famosa «richiesta di chiarimenti» firmata la settimana scorsa dall’amico «Jyrki». Replica prontamente resa nota, come da renziano impegno, al colto e all’inclita. Trasparenza, compagni. La partita non è proprio chiusa, specifica il suddetto Jyrky, dal momento che «la consultazione è ancora in corso». Però a questo punto l’ipotesi del presidente uscente Barroso, che intendeva chiudere il suo mandato aprendo una procedura d’infrazione contro l’Italia, dovrebbe essere esclusa. Quel che invece non si può escludere è che le cifre messe nere su bianco da Padoan, ufficialmente o ufficiosamente, lievitino un altro po’.

Al momento si tratta di 4,5 miliardi (dunque qualcosina in più del “tesoretto” di 3,3 miliardi accantonato dal governo) pari allo 0,3% di correzione del deficit. Non è lo 0,5% reclamato inizialmente dall’Europa. Non è neppure lo 0,1% proposto da Renzi. La via di mezzo non è indolore. Il “tesoretto” era stato allocato nel Fondo per la riduzione del cuneo fiscale dal quale sarà ora prelevato. E’ un modo per dire all’Europa che se invita ad alleggerire gli oneri fiscali e poi lo rende impossibile con le sue richieste la faccenda acquista connotati surreali. Però non c’è solo il messaggio al cianuro. Sta di fatto che senza quei miliardi la strada per la ripresa è ancora più in salita. Senza contare il fatto che anche il reperimento di quel miliardo e 200 milioni eccedente il “tesoretto” è a dir poco rocambolesco. Ma tant’è. L’importante è evitare la bocciatura. Poi si vedrà.

Le cifre non sono l’unico motivo che giustifica la soddisfazione di Katainen. Nella missiva il ministro Padoan giustifica il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati con l’infausta temperie: tre anni consecutivi di recessione, una situazione «a serio rischio di deflazione» e che nella migliore delle ipotesi permette di ipotizzare un prossimo futuro di bassissima inflazione, una flessione del Pil del 9% rispetto al 2008. Aggiunge che un quarto anno di recessione renderebbe «estremamente problematico» tirare il Paese fuori dalle sabbie mobili. Però assicura che, «anche grazie a un ambizioso piano di privatizzazioni pari allo 0,7% del Pil in media», il compitino purtroppo presentato parzialmente in bianco quest’anno verrà a partire dal prossimo consegnato completo e in bella copia. Una promessa a dir poco impegnativa e probabilmente non realizzabile.
Tuttavia, tra gli oltre 4 miliardi aggiunti e i toni che dire deferenti è poco, la reazione giuliva del severo finlandese è comprensibile.

Tutt’altra faccenda da quei boriosi francesi che hanno sì aggiunto pure loro 3,6 miliardi di tagli al deficit, ma con una lettera rabbiosa e tutt’altro che genuflessa. Loro, che sforano dal 2008 anche se solo ora, per motivi strettamente elettorali, rivendicano ad alta voce. Loro, che quando gli hanno chiesto se pensassero di imitare il Jobs Act di Renzi poco ci mancava che si mettessero a ridere, perché l’idea di rompere con i sindacati per farsi belli a Bruxelles nemmeno li sfiora.

Ma attenzione, la scelta diplomatica italiana non è priva di fondamento. Renzi a questo punto deve evitare in ogni modo una procedura d’infrazione che lederebbe i suoi interessi quanto e più di quelli italici. E’ a un millimetro dall’avercela fatta, almeno per ora, però sa che le cose cambierebbero nel giro di pochi giorni se gli squali della finanza iniziassero a pasteggiare a spese dell’Italia. Dunque è fondamentale che il rapporto con l’Europa appaia serenissimo, così come è fondamentale evitare scossoni interni. Una crisi di governo, tanto per dirne una, sarebbe rischiosissima: anche per questo Renzi non ci pensa per niente. Ma anche infilarsi in un Vietnam intorno al nome del prossimo capo dello Stato non aiuterebbe. Dunque Renzi avrebbe iniziato una manovra avvolgente per convincere re Giorgio a tenersi la corona ancora per un po’. L’Italia e Matteo Renzi hanno bisogno di un garante in Europa, e meglio di lui proprio non ce n’è.