Un milione e ottocentomila euro di spesa con tanto di sponsor (per le frecce tricolori) e di ditta privata di metronotte per la gestione della sicurezza delle tribune per una parata militare che, ormai, si rinnova ogni anno sempre uguale a se stessa: la Repubblica si festeggia da troppo tempo così, con il rombo degli aerei da guerra, il fracasso dei cingolati su via dei Fori Imperiali (paralizzati da un mese per i preparativi). E qualche spruzzatina di reparti civili, per non farsi accusare di tronfio militarismo.

Ma, più che in preda a “pulsioni demagogiche antimilitariste” – come stigmatizzato il 25 aprile scorso dal Presidente Napolitano, solo perché qualcuno dice che è folle spendere 14 miliardi per gli F35 – sembriamo purtroppo subalterni a una vecchia cultura e psicosi militarista molto simile a quella della vecchia prima guerra mondiale di cent’anni fa, di cui purtroppo non abbiamo fatto granché tesoro. Così oggi il momento più simbolico della rinascita della nostra comunità liberata dal fascismo – il passaggio dalla monarchia alla repubblica – viene affidato alle armi, ai carrarmati, all’orgoglio della visione soddisfatta degli uomini e delle donne con i fucili imbracciati.

La ministra della difesa Pinotti – passata dalle marce pacifiche della Perugia-Assisi e di Porto Alegre alle sfilate dei soldati in armi – così orgogliosa di questa parata, da due mesi fugge, con poco senso militare, di fronte al Parlamento cui dovrebbe rispondere sulla vicenda degli F35. Doveva venire alla Camera dopo il 17 aprile, poi dopo il 7 maggio e ora la stiamo ancora aspettando. Che cosa teme? Forse, dopo l’ennesimo annuncio sulla riduzione degli F35, c’è qualche problema: uno scontro sotterraneo dentro il Pd e con il ministero della Difesa (e Napolitano) che sembra far temporeggiare chi con sicumera diceva che la riduzione era cosa fatta. Forse, ora il Pd non sa che pesci prendere e la ministra non sa come uscirne. L’annuncio intanto c’è stato, poi si vedrà.

La repubblica – in un momento di crisi – andrebbe festeggiata con più sobrietà e mettendo al centro quello che c’è scritto nel primo articolo della nostra Costituzione: «La Repubblica è fondata sul lavoro» e non sui cingolati. E’ quello che in questi vent’anni hanno provato a ricordare i pacifisti che ogni anno – guidati da Massimo Paolicelli – hanno promosso il 2 giugno manifestazioni simboliche, con i ragazzi e le ragazze in servizio civile, i disoccupati, gli studenti. Come quest’anno, stavolta in bicicletta (mezzo meno inquinante e rumoroso dei blindo) nella periferia di Roma, per ricordare che i pochi soldi che abbiamo vanno spesi per il lavoro, la scuola, l’ambiente e la salute e non per le armi. E come è stato richiesto dai 10mila partecipanti pacifisti all’Arena di Verona, lo scorso 25 aprile, la difesa del paese può essere non armata e nonviolenta: per questo è in partenza una raccolta di firme su un disegno di legge di iniziativa popolare per permettere ai cittadini di scegliere di difendere il paese con la pace e non con la guerra.

Invece di continuare a tagliare oltre 2miliardi di euro agli enti locali e alla pubblica amministrazione – come avverrà con il decreto Irpef sugli 80 euro – con tutto quello che ciò significherà (riduzione dei servizi sociali e meno welfare), la strada da percorrere è un’altra: cancellare il programma dei cacciabomardieri F35, porre fine alla missione in Afghanistan e ridurre le spese militari. Questo sarebbe stato un bel modo di festeggiare la festa della repubblica.