Accordo raggiunto, a Quito, tra Colombia e Venezuela. Manuel Santos e Nicolas Maduro hanno chiuso un capitolo della crisi di frontiera firmando un documento in sette punti letto dal presidente ecuadoriano Rafael Correa. All’incontro, durato cinque ore, ha partecipato anche il capo di stato uruguayano Tabaré Vazquez, presidente pro-tempore della Unasur, garante dell’incontro insieme alla Celac. Oggi, a Caracas, si svolge una riunione ministeriale per «normalizzare» gradualmente la situazione alla frontiera binazionale: oltre 2.000 km attraverso i quali prospera il traffico di ogni genere di prodotti, sottratti al mercato sussidiato del Venezuela.

Dopo il ferimento di alcuni soldati, il 21 agosto Maduro ha dichiarato «lo stato d’emergenza costituzionale» e ha deciso di chiudere progressivamente le frontiere di alcuni stati, a cominciare dal Tachira. La misura è stata estesa poi anche allo stato Zulia e all’Apure: per portare a fondo la lotta al contrabbando, al narcotraffico e contrastare la violenza dei paramilitari. L’operazione ha portato sotto i riflettori una situazione insostenibile per l’economia venezuelana e ha consentito di vedere in concreto con quali modalità avvenga quella che il governo definisce «la guerra economica» dei grandi gruppi privati e dei loro padrini internazionali. Nella cittadina colombiana di Cucuta funzionavano uffici di cambio illegale e vendita al mercato nero di prodotti e benzina: un’economia sporca gestita dalle mafie di frontiera con la complicità dei governi locali, ma anche l’unica modalità di sussistenza per la gran parte dei colombiani, che subisce le misure neoliberiste e la repressione del dissenso.
In Venezuela vivono a pieno diritto quasi 6.000 colombiani, fuggiti dalla miseria o dal paramilitarismo. Il 19 è iniziato un massiccio censimento su tutto il territorio nazionale per creare il Movimento dei «colombiani per la pace», che proseguirà sabato. Secondo le prime cifre, oltre 3.000 persone si sono già tesserate a Caracas, altre 5.000 nel Zulia e oltre 8.000 nel Tachira. Da Bogotà a Caracas, diverse organizzazioni popolari colombiane, che appoggiano la soluzione politica con la guerriglia, hanno difeso il governo venezuelano dagli attacchi dell’estrema destra di Uribe e dello stesso Santos: il quale cerca di recuperare i voti delle destre in vista delle regionali del 25 ottobre.
Ma anche il Venezuela ha nel suo orizzonte una complicata scadenza elettorale, le parlamentari del 6 dicembre. Per quella data, Maduro intende portare a casa risultati visibili contro i corrotti e gli accaparratori. Secondo le inchieste, oltre il 60% appoggia le misure drastiche e la chiusura delle frontiere. E in molti temono che l’accordo raggiunto si trasformi in una nuova melina da parte del governo colombiano, a cui Maduro ha chiesto gesti concreti contro trafficanti e paramilitari. Intanto, i due paesi sono tornati a scambiarsi gli ambasciatori.