Abbiamo raggiunto al telefono a Boston lo storico britannico Roger Owen, il docente di Harvard è autore di una delle pietre miliari sul Medio Oriente moderno, «State, Power and Politics in the Making of the Modern Middle East».

Con il quarto anniversario delle rivolte egiziane, sono tornate le proteste al Cairo. È rimasto poco delle aspirazioni rivoluzionarie egiziane. Ma al-Sisi mostra qualche segno di cedimento?

Sta attraversando una fase problematica. Al-Sisi è una specie di poliziotto-militare. Ora i pro-Mubarak stanno tornando prepotentemente, vogliono di nuovo esercitare il loro controllo dall’alto. A sua volta al-Sisi ha bisogno dei politici del Partito nazionale democratico (Pnd) per rafforzarsi. Ora che i figli, Alaa e Gamal sono fuori, nessuno impedirà loro di fare politica. Esiste tra gli uomini di Mubarak un profondo disprezzo per al-Sisi. Lo stesso sentimento è condiviso da molti militari all’interno dell’esercito, come Sami Annan. Eppure se al-Sisi non sarà in grado di formare un partito alternativo dovrà appoggiarsi sulla struttura del Pnd. Vivrà nel terrore, è sempre confinato in una base militare di Heliopolis, teme costantemente di essere ucciso. Sa bene, al-Sisi che le zone di libero scambio che sta proponendo, insieme ai tagli ai sussidi, potrebbero non calzare neppure con gli interessi economici dei militari in economia.

Professor Owen, dalla Siria alla Libia, la regione è attraversata da una delle più profonde crisi della sua storia. Cosa accade in queste ore in Yemen?

Si procede con negoziati a oltranza, lo scopo dei ribelli Houthi non è la conquista di Sanaa ma di fare pressioni sul governo centrale per ottenere maggiore autonomia a livello locale. Faranno le loro richieste e poi torneranno nel Nord del Paese. Non credo affatto che vogliano creare una Repubblica islamica, sul modello iraniano. Aspirano alla formazione di un Comitato centrale per la soluzione delle dispute che assicuri l’autonomia dello Yemen del Nord. Un colpo di stato provocherebbe una reazione certa dei sauditi. E poi, fin qui l’esercito yemenita è stato a guardare in attesa di ottenere il miglior accordo possibile per la sua sopravvivenza. Certo gli Houthi sono ben più forti dell’esercito regolare.

Esiste un legame tra gli attacchi di Parigi a Charlie Hebdo del 7 gennaio scorso e gli eventi che coinvolgono lo Yemen?

La stampa statunitense si interroga costantemente su questo tema. Non ci sono prove in questo senso né pistole fumanti per cui si può dire che i qaedisti yemeniti sono in grado di chiamare una cellula dormiente dallo Yemen per attaccare cittadini occidentali. Ma negli Usa la gente è terrorizzata, si domanda dove sarà il prossimo attentato. Le persone si sentirebbero più sicure se sapessero chi è il loro nemico e dove si nasconde, vogliono corroborare la teoria di un franchising di al-Qaeda che semina terrore ma fin qui non esistono prove in questo senso.

Cosa accadrà alle aspirazioni nucleari civili dell’Iran dopo la morte del re saudita Abdullah?

Il nuovo monarca saudita Salman, tra i falchi della monarchia, potrebbe dichiarare subito dopo la sua nomina di non volere che l’Iran prosegua in alcun modo con il suo programma nucleare, (mettendo fine ai negoziati in corso a Ginevra, ndr). Da parte sua, Rohani sta tentando di controbilanciare la crescente inflazione con lo stop alle sanzioni internazionali. Le guardie rivoluzionarie possono resistere per tanti anni anche con i prezzi del petrolio bassi, a soffrirne è la gente comune. E poi l’Iran ha un esercito tecnicamente impeccabile. Se dovesse esserci un conflitto nella regione, il prezzo del petrolio tornerebbe a salire, ma in questo momento credo che non lo voglia nessuno.

La mancata conquista di Tripoli da parte di Khalifa Haftar sta indebolendo al-Sisi?

È possibile. Ma io penso invece che contrabbando e confusione in Libia facciano comodo agli interessi occidentali e statunitensi. In fondo tutto è cominciato a Tunisi alla fine del 2010. Consoliamoci con la Tunisia e la vittoria laica alle presidenziali… Penso sempre fino a che punto la rivoluzione si sia estesa oltre i giovani in Tunisia. I conservatori tunisini sono molto preoccupati della forza dei movimenti salafiti. E così serpeggia la sensazione che il regime di Habib Burghiba sia stata un’età dell’oro rispetto agli anni di Ben Ali, per questo la vittoria di Beji Essebsi alle presidenziali dello scorso anno racchiude qualcosa di molto affascinante.