Anche a leggere il libro più volte la questione rimane la stessa e interroga ugualmente storici e lettori: non c’è bisogno di qualifica per subire il fascino di 1938 – storia, racconto, memoria, antologia della Giuntina, curata da Simon Levis Sullam (pp. 152, euro 15).
Il 1938 del titolo è quello dei «provvedimenti per la difesa della razza» promulgati con Regio decreto esattamente il 17 novembre di ottanta anni fa e parte di un corpus legislativo pervasivo della legislazione fascista che la Repubblica ha impiegato quaranta anni a smontare e che in modo subdolo resta ancora nei recessi dei comportamenti amministrativi e politici.

TREDICI BRANI che scavalcano i confini tra saggio e racconto proponendo a storici e a scrittori di narrare quanto accaduto in quegli anni ai cittadini ebrei: «La sfida di questa antologia – scrive Levis Sullam nell’introduzione – è far raccontare la storia, o almeno i suoi contenuti attraverso una narrazione di fiction». Si tratta di un esperimento inconsueto soprattutto se riguarda gli storici; meno per gli scrittori e le scrittrici «che sempre hanno pensato – aggiunge Sullam – che la letteratura sia in rapporto diretto con la verità». Oltrepassato così il nodo se sia possibile fare poesia – e letteratura – dopo Auschwitz, si pone piuttosto la questione se fare della Shoah un genere letterario come fosse «un» giallo o «un» noir. In realtà gli scrittori come narratori della persecuzione iniziano ancora prima della fine della guerra: nel 1944, in una Roma da poco libera, esce 16 ottobre 1943 di Giacomo De Benedetti e prosegue, tra gli altri, con le Storie ferraresi di Giorgio Bassani nel 1956.
Praticamente superata per vincoli anagrafici l’«era del testimone» analizzata da Annette Wieviorka e inaugurata l’era della «post memoria» le leggi razziali e la Shoah sono diventati protagonisti anche nei cataloghi per l’infanzia e l’adolescenza. Non sfugge nemmeno la letteratura per adulti come suggerisce tra gli altri il successo di qualche anno fa del discusso Le benevole di Jonathan Littell oltre che di una immensità di titoli che vengono riproposti ogni 27 gennaio per il giorno della memoria.

COME SUGGERISCE ancora Simon Levis Sullam nell’Introduzione, «possiamo chiederci se la questione del racconto, della narrazione e del rapporto tra storia, narrazione e memoria, tra storia e storie, riguardi innanzi tutto la ricostruzione, il ricordo e la trasmissione della storia delle persecuzioni antiebraiche e della Shoah come è evidente ogni evento storico è generato dal rapporto, dall’intreccio, tra storia, narrazione e memoria. Credo tuttavia sia possibile sottolineare come nell’indagine storica, nella narrazione e nella trasmissione della memoria della Shoah, le strutture del pensiero e quindi anche quelle della narrazione siano messe a dura prova, come forse è vero per tutti gli eventi storici di particolare violenza. La tentata distruzione degli ebrei d’Europa si colloca decisamente, come è stato suggerito da Saul Friedlander, ai limiti della rappresentazione».
Da questa partenza indaga 1938 – storia, racconto, memoria, i cui autori sono tutti nati nel dopoguerra: non cerca facili sensazionalismi, non solletica finte pruderie, esplora invece con il rigore del racconto storie di giusti e di infami e delle varie sfumature di quella che Primo Levi ha definito zona grigia. Narrazioni che sbattono sul presente come ne «La chat» di Igiaba Scego: una nonna salvata durante la guerra e una odierna e orrenda chat di mamme.
Il paradosso di un rabbino ateo di Eraldo Affinati e quello di una sorprendente rivolta ad un esame nel 1939 scritto da Giulia Albanese. Una richiesta di esenzione dall’applicazione delle leggi razziste firmata da Enrica Asquer. La vicenda di amore tra una coppia mista di Viola Di Grado. La storia di Ernestyna e Isaak galiziani in fuga da Hitler e del loro inesausto attraversare frontiere alla ricerca della salvezza di Carlo Greppi. Helena Janeczek, vincitrice del premio Strega con La ragazza con la Leica, partecipa alla raccolta con una storia del tempo in cui «prima che si presenti la catastrofe si è troppo indaffarati per sentirla arrivare». Bruno Maida racconta di un cortile, di una lunga rete metallica che separa i bambini ebrei da quelli ariani.

UN TEDESCO «buono» si affaccia dalle pagine di Federica Manzon, accompagnato da fascisti crudeli. Un carabiniere è invece l’interlocutore immaginario che Andrea Molesini dona a Primo Levi, l’unico racconto che si immedesima con i carnefici.«Faccia il ladro, che è molto più onesto» così il chimico sul vagone in partenza per Auschwitz si rivolge al carabiniere, padre di famiglia, con lo stipendio da portare a casa. Una frase dura, un turbamento che dura un giorno. Per Vanessa Roghi «c’è un prima e un dopo. Un prima fatto di anni, settimane e giorni dalla promulgazione delle leggi razziali, un dopo di anni che diventano decenni per cancellarle». Il confronto con la letteratura ebraica emerge con i riferimenti al Bassani dei Finzi-Contini in Romanzo con giardino di Chiara Valerio. Dell’antichista Arnaldo Momigliano racconta invece Alessandro Zaccuri. Tredici racconti in bilico tra storia e invenzione. Un’antologia che pur assumendo «la narrazione come modalità di pensiero e possibilità di comprensione» della Shoah non può però eludere «il monito dello storico Pierre Vidal Naquet – scrive Levis Sullam – secondo cui solo il dovere della storia, più che il dovere della memoria, può alimentare una memoria autentica».