L’ordine di Renzi è già stato eseguito. La commissione istruzione del senato ha bloccato le votazioni, che sarebbero dovute iniziare ieri sera, e ha rinviato tutto a martedì, quando sarà pronto un maxiemendamento della maggioranza sul quale le opposizioni saranno chiamate a prendere oppure a lasciare, in questo caso lasciare a terra centomila insegnanti. Come se assumerli fosse un grazioso dono che Matteo può scegliere a suo capriccio se concedere o no.
In realtà la situazione è più confusa. Renzi non ha ancora deciso se presentare davvero il maxiemendamento subito o aspettare la conferenza annunciata per l’inizio di luglio con tutti i soggetti coinvolti. Se poi il maxiemendamento venisse presentato realmente martedì, non è affatto detto che il governo se la sentirebbe di sfidare una commissione in cui non dispone della maggioranza. Potrebbe scegliere di andare subito in aula, mercoledì prossimo, senza relatore, come ha già fatto in passato. Ma a quel punto i tempi del voto e della conferenza nella quale dovrebbero essere ascoltate le parti in causa non sarebbero più sincronizzati. L’aula dovrebbe votare su un testo destinato a essere modificato dalla conferenza stessa. Dire stato confusionale è poco.

La richiesta di aggiornare i lavori è arrivata, durante la riunione dell’ufficio di presidenza, dai due relatori, Francesca Puglisi del Pd, che è anche una delle “madri” della riforma battezzata con involontaria ironia «Buona scuola», e Franco Conte, di Ap. Entrambi sono capi dei rispettivi gruppi in commissione. L’aspetto grottesco della vicenda è che il secondo, dopo aver proposto l’ «aggiornamento» come relatore si è schierato contro come capogruppo. Cose che capitano nell’era Renzi. Tutte le opposizioni hanno chiesto invece di andare avanti secondo il calendario previsto, e la Lega addirittura di procedere a ritmi forzati. Il presidente della commissione, Andrea Marcucci, Pd e renziano doc, ha però deciso, guarda caso, per il rinvio.

In commissione il Pd ha ribadito il ricatto del capo: o la riforma passa subito oppure niente assunzione per i centomila. Lo stesso Renzi ci tiene a confermare, via Facebook «Per la prima volta un governo mette più soldi (tanti) sulla scuola. Al senato il provvedimento è bloccato da migliaia di emendamenti che cercano di stopparne l’approvazione. Discutiamo, facciamo modifiche, ma poi votiamo. Altrimenti saltano gli investimenti. Qualcuno parla di ricatto ma la verità è molto più semplice: puoi assumere solo e soltanto se cambi il modello organizzativo».
Se un testo simile fosse stato pubblicato su un settimanale enigmistico, sarebbe certamente per la serie «Caccia alla bugia». Ce ne sono parecchie. Il governo non ha messo più soldi sull’istruzione: ha spostato sulla scuola i fondi per la ricerca, con un tipico gioco delle tre carte. Non è vero che la legge è bloccata dall’ostruzionismo: gli emendamenti, che sono poco più di duemila e non tremila, sono tutti di merito e non sono in realtà esorbitanti per una legge di 24 articoli piena di buchi e falle, tanto che la commissione bilancio del senato, incaricata di vagliarne gli aspetti economici, si è messa le mani nei capelli. Infine, non è affatto vero che senza la riforma complessiva non si possono fare le assunzioni: nulla, a parte la prepotenza dell’ex sindaco di Firenze, impedirebbe di approvare subito l’articolo 10 della legge, quello che affronta la faccenda, come chiede la minoranza Pd oppure di stralciarlo, vararlo anche per decreto e poi procedere con un piano pluriennale per stabilizzare tutti i precari e non solo i centomila in questione.

Nel suo blog Walter Tocci, uno dei due dissidenti Pd che con il loro voto metterebbero in minoranza il governo nella commissione, chiede la modifica: «Ho dato piena disponibilità a ritirare gli emendamenti. Chiedo solo di mantenere la proposta di risoluzione che anticipa l’accesso dei centomila precari rispetto alle altre norme». Stessa proposta, con toni più bellicosi, arriva da Fassina: «Il governo la smetta con i giochini. Chiediamo al governo di fare le assunzioni e contestualmente avviare il confronto con il mondo della scuola. I precari non devono pagare gli errori del governo». Conoscendo Matteo Renzi, non saranno accontentati.