È una cerimonia «maledetta» da ogni genere di controversia la novantunesima edizione degli Academy Awards che si terrà domenica prossima, ma anche quella dei ripensamenti: prima sulla nuova categoria dell’Oscar popolare, ritirato dopo pochi giorni in seguito alle accese polemiche. E adesso – in seguito alla protesta di direttori della fotografia, registi (tra cui Tarantino e Scorsese) e montatori – sulla scelta di assegnare i premi ad alcune categorie, in questo modo automaticamente etichettate come minori, durante la pausa pubblicitaria.

L’intento era snellire la cerimonia, la cui interminabile durata è stata individuata fra i motivi dell’emorragia di ascoltatori che continua costante negli ultimi anni. Ma con un comunicato di venerdì scorso successivo a una riunione d’emergenza dei vertici dell’Academy con i principali direttori della fotografia americani – una delle categorie relegate alla pausa pubblicitaria -sono state ripristinate tutte le premiazioni live: «L’Academy ha accolto il feedback dei suoi membri riguardo alla presentazione di quattro premi – fotografia, montaggio, cortometraggio live action e trucco e acconciatura. Tutti i premi andranno in onda senza tagli, secondo il nostro format tradizionale».

UNA SIMILE retromarcia (giunta due giorni dopo un lungo comunicato che difendeva la scelta e accusava i media di fare disinformazione) è stata fatta anche per quanto riguarda la decisione di far esibire solo alcuni degli artisti candidati per il titolo di miglior canzone originale. A esibirsi dal vivo, è stato annunciato ieri, ci saranno anche i Queen con Adam Lambert come cantante.
E poi c’è l’interminabile telenovela del presentatore assente dopo il rifiuto di Kevin Hart: decine di articoli sui principali giornali e siti di spettacolo dipingono una Caporetto annunciata ripercorrendo il disastro dell’unica edizione della storia – prima di questa – in cui gli Oscar non hanno avuto un conduttore (esattamente 30 anni fa).

D’altronde è comprensibile che star e comedian si vogliano sottrarre a un ruolo che non è un trampolino di lancio e rischia di attirare sul malcapitato presentatore di turno scherno e polemiche – come accadde con la soporifera edizione condotta da James Franco e Anne Hathaway nel 2011 – o anche responsabilità che gli competono solo in parte – sulle spalle dell’host delle ultime due edizioni, Jimmy Kimmel, grava «l’onta» del calo di ascolti. Quella del 2019 sarà quindi una cerimonia senza conduttore e con tanti presentatori – l’ultimo nome aggiunto alla lista è quello della musicista Kacey Musgraves, vincitrice la settimana scorsa con il suo Golden Hour di quattro Grammy Awards, incluso quello al miglior album dell’anno.

INSIEME A LEI nella rosa dei presentatori ci saranno, tra gli altri, Samuel L. Jackson, Chris Evans, James McAvoy, Laura Dern e Charlize Theron. E la 91esima edizione degli Oscar verrà senz’altro ricordata anche come quella in cui Hollywood ha spalancato le sue porte a Netflix (dieci le nomination per Roma di Alfonso Cuarón, tre per The Ballad of Buster Scruggs di Joel e Ethan Coen), accolta pochi giorni dopo l’annuncio delle candidature nella Motion Picture Association of America. E che per garantirsi l’oscar al miglior film ha imbastito una campagna pubblicitaria e di lobbying che, come riporta il «New York Times», è costata circa il doppio del film stesso: 15 milioni di dollari contro 30, la cifra più alta mai spesa per un film in lingua straniera che, qualora vincesse la statuetta, sarebbe anche il primo nella storia a venire incoronato miglior film. Oltre a cambiare gli equilibri fra streaming e grande schermo.