In Veneto i ragazzi di vent’anni hanno il sangue avvelenato. Disfunzioni al sistema endocrino, anomalie all’apparato riproduttore, alterazioni ormonali. Gli studi condotti dal gruppo di ricerca del dott. Carlo Foresta, professore di Endocrinologia presso l’Università di Padova e membro del Consiglio Superiore di Sanità (vedi intervista qui sotto), rivelano uno scenario preoccupante che amplifica i timori per l’impatto dei Pfas sull’organismo umano.

L’ormai nota contaminazione delle acque e del suolo nelle province di Vicenza, Padova e Verona dovuta allo sversamento in falda di pericolose sostanze perfluoroalchiliche, ha condotto la comunità scientifica ad occuparsi di temi fino ad oggi non ancora esplorati: qual è la correlazione tra Pfas e l’insorgere di tumori e patologie cardiovascolari? Quali sono i rischi per il sistema endocrino e per la fecondità? Il disastro veneto rappresenta un fenomeno di inquinamento nuovo e in grande parte ignoto, analogo nei caratteri e nella misura al solo caso Dupont che interessò per decenni l’Ohio e il West Virginia.

La ricerca scientifica in materia si è mossa negli ultimi anni con prudenza, evidenziando anomalie, istituendo correlazioni e ipotesi, indagando sospetti e intuizioni, percorrendo con circospezione l’intero panorama delle possibilità. Sembra tuttavia, da quanto riportano gli studi americani condotti in seguito al disastro della Dupont, che l’inquinamento da Pfas sia correlato a casi di ipercolesterolemia, colite ulcerosa, malattie tiroidee, tumori del testicolo e del rene, ipertensione indotta dalla gravidanza e preeclampsia.

Nel maggio 2016, inoltre, uno studio Isde-Enea ha dimostrato per la prima volta come nella zona rossa vi sia stato dal 1980 al 2011 un eccesso significativo di mortalità per varie malattie tumorali o croniche di quasi 1300 morti in più rispetto alle zone non contaminate. Il gruppo di ricerca guidato da Carlo Foresta e coordinato da Andrea Di Nisio si è occupato di recente dell’impatto dei Pfas sul sistema endocrino maschile e sull’apparato riproduttore femminile, rilevando situazioni atipiche nei ventenni residenti nella zona più contaminata. I risultati dell’indagine, condotta su un campione di 212 giovani, mostrano come le molecole dei perfluoroalchilici possano interferire con il testosterone riducendone l’effetto del 50%. Ciò determinerebbe nei maschi una diminuzione della lunghezza del pene e del volume dei testicoli, nonché una preoccupante riduzione nella produzione di spermatozoi.

Per quanto riguarda le donne invece, lo studio dell’equipe patavina ha accertato un’interazione tra Pfas e progesterone che bloccherebbe i meccanismi che regolano il ciclo mestruale, l’annidamento dell’embrione e il decorso della gravidanza. I risultati dello studio, del resto, permettono di spiegare i casi clinici emersi da una recente ricerca della Regione Veneto secondo cui nelle zone maggiormente esposte a Pfas si avrebbe un incremento di pre-eclampsia, diabete gravidico, nati con basso peso alla nascita, anomalie congenite al sistema nervoso e difetti congeniti al cuore.

È importante sottolineare che alcune di queste irregolarità, come la riduzione della lunghezza del pene e della distanza ano-genitale, trovano origine a livello embrionale: un elemento tutt’altro che trascurabile se si considera che lo studio è stato condotto su ragazzi e ragazze di vent’anni, nati assai prima che il caso Pfas venisse alla luce. Si dimostrerebbe così, come afferma lo stesso prof. Foresta, che già alla fine degli anni ’90 le sostanze perfluoroalchiliche erano in grado di interagire con lo sviluppo embrionale e ciò è sintomo di una contaminazione già intensamente in atto, in un’area travagliata per mezzo secolo dall’inquinamento dovuto al settore chimico e conciario.