Se non fosse per la sequenza delle immagini sarebbe stata una delle tante riunioni elettorali per la propaganda dei candidati di collegio. Ma in questo caso le istantanee raccontano una mutazione politica in corso.

PALERMO. ORE 11.15. Via Bentivegna, quartier generale del Pd. La saletta è gremita di cronisti e fotoreporter. Non c’è Fausto Raciti, il segretario dimissionario che fa campagna elettorale a sé. E non ci sono i componenti della segreteria. Il padrone di casa per l’occasione è il sottosegretario Davide Faraone. Ma non è lui a prendersi i riflettori. La scena è tutta per Leoluca Orlando. Arriva per primo in via Bentivenga. Un tempo nemico giurato dei partiti, ora il professore si candida a fare il padre nobile del Pd. Non varcava il portone di via Bentivegna da anni, se ne teneva alla larga. Ha già preso la tessera, con lui stanno salendo sul carro fedeli e fedelissimi come Fabio Giambrone, un bel posto blindato al Senato per lui con i dem. «Per me è essere qui è come tornare a casa perché qui ho iniziato l’avventura per l’amministrazione di questa città; da assessore, in queste stanze, abbiamo fatto i primi passi per liberare questa città dalla mafia», l’esordio del professore. Faraone addirittura lo incorona come il Prodi del centrosinistra nell’isola. Ragion di Stato, anzi di poltrone. Ci sono le politiche, il passato non conta.

LA MEMORIA PERÒ non si cancella. Era la fine degli anni Ottanta quando Orlando lanciò il suo anatema contro la nomenklatura dei partiti, facendo a pezzi la Dc, il Psi e smarcandosi dal Pci. C’era solo la Rete, gli altri, per il professore, erano i «nemici». Quando qualche anno Achille Occhetto gli offrì la guida della segreteria dei Ds, Orlando rifiutò. Lui era Palermo, gli altri dovevano stare sempre un passo indietro. Anche la breve convivenza in comune con i comunisti non è stata semplice, per la ritrosia del professore a confrontarsi con i partiti. Come dimostra la breve coabitazione con Di Pietro nell’Idv.

PROPRIO IL PD nella scorsa consiliatura è stato il suo peggior rivale a Palazzo delle Aquile, lui ha ricambiato osteggiando in qualsiasi modo il governo di Rosario Crocetta. L’inversione a U di Orlando comincia per le amministrative quando, complice un Pd moribondo, è riuscito nell’operazione di farsi appoggiare dai dem imponendogli di rinunciare al simbolo. Un piano che il professore ha tentato di replicare alle regionali, fallendo miseramente l’operazione “campo largo” e consegnando così la Sicilia alla destra. L’asse con Renzi però è rimasto. E il coup de théâtre era nell’aria: l’adesione al Pd alla vigilia della definizione delle liste per le politiche. Poco importa al professore che nella squadra che lui sostiene si ritrovano gli eredi di un pezzo del ceto politico che osteggiò durante la Primavera di Palermo: Giuseppe Sodano, figlio dell’ex Dc e poi Ccd Calogero Sodano, ex sindaco di Agrigento condannato in via definitiva per abuso d’ufficio; Valeria Sudano, nipote dell’ex senatore Dc Mimmo Sudano e tra i pupilli di Totò Cuffaro; Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Totò Cardinale, cresciuto nella Dc e poi co-fondatore dell’Udeur; l’ex rettore di Messina Pietro Navarra, nipote del boss Michele Navarra, assassinato prima che lui nascesse; Nicola D’Agostino, ex capogruppo del Mpa di Raffaele Lombardo.

«FARAONE-CARDINALE, Leoluca Orlando? Nulla di nobile solo la creazione di un nuovo blocco di potere che rinnega l’esperienza della Primavera di Palermo», attacca Antonio Rubino, leader dei Partigiani del Pd, il movimento nato in contrasto con le scelte fatte dal Nazareno per le liste in Sicilia. “Il ‘compagno Orlando’ è un artista delle parole – ironizza Rubino – Ha insultato per anni il Pd e ora tenta di emozionarci con le sue favole. Farebbe bene a occuparsi di Palermo invece di fare il burocrate di partito». Il fronte dei Partigiani si sta allargando giorno dopo giorno. «La composizione delle liste è avvenuta secondo i bisogni del duo Renzi-Faraone e non del Pd siciliano – accusa – Se la volontà era quella di ridurre un grande partito ad un circolo privato, la strada è quella giusta. Solo che noi non ci stiamo e lo diremo senza alcuna preoccupazione». La maggioranza dei dirigenti dei circoli Pd ennesi si è autosospesa dal partito come nei giorni scorsi avevano fatto i consiglieri comunali, tranne una.