Andrea Orlando (vicesegretario Pd, ex ministro della giustizia, ndr) su come uscire da queste crisi quante linee ha il Pd?

L’unica linea destinata ad avere successo è quella che ha come presupposto l’unità del partito. Andrà definita nelle sedi competenti.

In queste ore il parlamento lavora. Perché le ’sedi competenti’ del Pd non sono state convocate?

Dobbiamo aspettare che la crisi si parlamentarizzi. Sarà quello il momento in cui cominceremo a discutere sullo sbocco politico, perché è anche quello in cui tutti cominceranno a scoprire le carte.

Qual è lo sbocco politico preferibile, secondo lei?

Intanto la crisi sarà gestita dalle affidabili mani del presidente Mattarella. Per me il criterio di valutazione è quale sia lo strumento più efficace per fermare Salvini, perché questo corrisponde a un interesse generale. Sono sicuro che non lo sia un governo balneare che si limiti a mettere la firma del Pd su una manovra che comunque creerà malessere sociale. Vedo tutti i rischi delle elezioni. Che però non darei per perse: vedo anche l’inizio di una reazione che può crescere, se c’è una guida politica e un nuovo centrosinistra. Possiamo prendere in considerazione altre ipotesi se emergeranno. E se saranno serie. Per ora non ne vedo.

I 5S vi hanno fatto una proposta? E sono interlocutori affidabili?

Per ora non si capisce qual è il contenuto di questa proposta se non allungare la legislatura. Un governo che nascesse semplicemente dall’esigenza di approvare il taglio dei parlamentari, dietro i proclami roboanti avrebbe solo un carattere: l’impossibilità di sciogliere le camere fino a maggio 2020. Ma qualunque tipo di ipotesi deve avere come presupposto le cose da fare per affrontare la terribile eredità giallo-verde. Non ci si può limitare alla manovra per evitare l’aumento dell’Iva. A oggi i 5 stelle non fanno minimamente i conti con il loro fallimento politico, non abbandonano l’antipolitica, non definiscono il loro orizzonte europeo. Insomma non ci danno nessuna buona ragione per farci qualche domanda. Fra le ipotesi possibili, il voto resta lo strumento più efficace per provare a fermare Salvini.

Ma chi comanda nel Pd? La proposta di dialogo con i 5 stelle non l’ha fatta il segretario Zingaretti ma Renzi, autorevole ex segretario ed ex premier, ma leader di una corrente di minoranza. E in odore di scissione.

È legittimo che un dirigente avanzi delle proposte. Semmai non si capisce perché quando l’hanno fatto altri siano stati lapidati, penso da ultimo a Dario Franceschini. Ma non è il momento della polemica. Il punto è l’opportunità e la tempestività. Gettare un sasso in piccionaia quando ancora non c’è la crisi parlamentarizzata può finire per essere più una provocazione che un obiettivo politico. Tant’è che ad oggi i primi effetti sono il ricompattamento del centrodestra, una discussione disordinata del Pd e un perseverare del M5S su posizioni infrequentabili. Anche perché nello scorso anno questi presupposti sono stati resi impercorribili. Mi spiego meglio: il Pci si avvicinò alla Democrazia cristiana attraverso gli articoli di Enrico Berlinguer su Rinascita. E invece noi dovremmo cambiare la nostra politica sulla base dei deliri psichedelici di Grillo sul blog? Mi convincono le considerazioni che ha svolto Goffredo Bettini. Mi pare che indichi un metodo condivisibile che evita rimozioni o scorciatoie.

Ma il dialogo fra Pd e M5S non era meglio farlo un anno e mezzo fa, quando Salvini era già un pericolo ma non era ancora al governo?

La domanda non va rivolta a me. Non escludo a priori che anche oggi sia utile andare a vedere le carte, ma oggi le carte sono peggiori.

Non c’è il rischio che gli elettori, che per due anni vi hanno visto combattere ferocemente, ora abbiano la sensazione che dialogate solo per non andare al voto?

È un rischio che avverto fortissimo. Per questo dico che o ci sono contenuti seri, o rischiamo di fare solo un enorme favore a Salvini.

Mentre parliamo ci sono 400 naufraghi in mare da giorni, in attesa di un approdo. A causa di uno dei provvedimenti più incivili del governo gialloverde. Se il Pd aprirà il dialogo con i 5 stelle metterà come condizione l’impegno immediato dei ministri per lo sbarco e la cancellazione dei decreti sicurezza?

Quando parlo di una riflessione sul fallimento e sui caratteri dell’esperienza governativa che si è conclusa, metto tra le prime questione il modo totalmente subalterno con cui i 5 stelle hanno subito la cosiddetta politica di sicurezza di Salvini.

C’è crisi anche nel Pd. Il segretario Zingaretti subisce l’attivismo di Renzi. E c’è una scissione in gestazione.

Se l’obiettivo prioritario è fermare Salvini non mi pare che una scissione corrisponda a questo obiettivo.

Nella prossima coalizione, quando sarà il momento di votare, accoglierete chi lascia Forza Italia e i 5 stelle?

Da soli è difficile raggiungere il 50 per cento. È saggio lavorare da subito alla coalizione. Quale che sia l’esito della crisi saremo più forti se avremo costruito una coalizione ampia.

È vero che fra le condizioni per dialogare con i 5 stelle avete messo il passo indietro di Di Maio?

Mai fatta una discussione di questo genere. Come le ho detto ciò che è tutt’altro che dimostrato è l’esistenza dei presupposti politici.

Qualora se ne creassero le condizioni, il Pd sarebbe disponibile a un altro governo a guida di Conte?

Non è nell’ordine delle cose