Appena l’altro ieri aveva bollato come «fandonie» le voci di stampa – insistenti – che lo davano sulla rampa di lancio per la corsa congressuale. Ieri il ministro Andrea Orlando, ormai indicato come il pupillo di Giorgio Napolitano («sono lusingato», si schermisce lui) mette fine alle ipotesi e in un’intervista all’Huffington post propone «una Bad Godesberg» per il Pd, citando la cittadina vicino Bonn dove nel ’59 fu ratificata la svolta socialdemocratica della tedesca Spd. Una suggestione che rimanda dritto all’ala migliorista del fu Pci. Orlando si dice favorevole a modificare la legge elettorale «senza usarla per allungare il brodo, così possiamo andare a votare il prima possibile». Ma il fulcro del suo ragionamento è un congresso «che ci porti a un riposizionamento politico». «Mi aspetto, a partire dalla direzione di lunedì e dalla relazione del segretario», dice, «che si avvii un percorso che parli all’Italia di come la vogliamo cambiare per i prossimo 20 anni». Un «congresso straordinario», «non schiacciato sul tema della leadership». E in caso di voto «il Pd deve anticipare il senso di quel programma fondamentale che vogliamo mettere in campo: misure sulla povertà, modifica dei voucher, inizio di una strategia a lungo temine sul tema dell’inclusione sociale». Renzi «parli al paese e riconosca le ragioni espresse nel voto del referendum a partire dal discorso che farà lunedì. Qualunque altra strada indichi rischia di essere insufficiente».

È un discorso di largo respiro, da leader, che non solo stigmatizza la ventilata scissione ma anche si propone come riferimento di tutti quelli che invocano il cambio di passo nel Pd.
Dunque anche la minoranza dei bersaniani, per esempio. Che ieri si è riunita alla camera mentre sui social i renziani rilanciavano l’hashtag #famolostocongresso, sulla falsariga della campagna per lo stadio a Roma che ha impazzato in queste ore. Campagna, quella per il congresso anticipato – abbracciata però solo dai renzianissimi rimasti, da Pina Picierno a Andrea Marcucci a Alessia Morani – ’suggerita’ dall’idea che Renzi ha fatto circolare in questi giorni: dimissioni subito per consentire il congresso anticipato. Per prendere in contropiede la minoranza divisa in due forse tre candidati (Roberto Speranza, Enrico Rossi e forse Michele Emiliano).

I bersaniani ieri hanno preso male la possibile iniziativa del segretario: se Renzi non farà del congresso una «discussione seria sulla linea politica» ma una «corsa nei tempi in cui dice lui si va alla rottura», è la minaccia. Comunque per Speranza prima bisogna affrontare il nodo della legge elettorale: «Primarie o congresso dipende se c’è una coalizione o no».
Loro sono per il ritorno alle coalizioni. Invece per il premio alla lista si sono schierati i 17 senatori turchi. Undici di loro però il giorno prima avevano firmato un documento contro al voto anticipato: hanno chiesto il pieno sostegno al governo Gentiloni, e al Pd di dare «un senso ai mesi che restano della legislatura».