«Un metodo di lavoro improntato al massimo confronto e all’ascolto, quanto mai necessario nella fase di emergenza che stiamo vivendo». Così il neo ministro del Lavoro Andrea Orlando commenta la conclusione degli incontri con le parti sociali. «Credo che il nostro compito sia quello di provare insieme a costruire una prospettiva» per affrontare l’emergenza e il dopo.

Il neo ministro del Lavoro Andrea Orlando (Pd)

CONCLUSO L’ASCOLTO DELLE PARTI sociali, da oggi Orlando dovrà iniziare a mostrare le sue carte. «L’obiettivo è sottoporre all’attenzione di tutti un documento con un impianto di riforma sul tema degli ammortizzatori sociali e un’agenda di lavoro e di priorità, tra cui la perdita di lavoro di donne e giovani», annuncia il neo ministro per fine febbraio. «Dobbiamo prevedere politiche specifiche e mirate per fare in modo che l’impatto della pandemia non provochi piaghe incurabili, ma aiutare i settori più colpiti e accompagnarli nel nuovo scenario che si è determinato». Per Orlando «ci saranno settori che usciranno dalla crisi più modificati di altri, per esempio servizi e commercio al dettaglio che sono stati colpiti da cambiamenti diventati strutturali. Basta pensare allo spostamento di consumi verso le piattaforme digitali».

Dopo la domenica dedicata a Cgil, Cisl e Uil, ieri è stato il turno – al mattino – dell’inedita riunione con Cisal, Ugl e Usb e al pomeriggio dei rappresentanti delle imprese.

E DA QUI DERIVA LA PRIMA decisione complicata. Se i sindacati chiedono la proroga del blocco dei licenziamenti, le imprese – non solo Confindustria di Bonomi – sono per iniziare un «graduale allentamento del divieto».

L’incontro con Confindustria non è stato una passeggiata per il neo ministro. In assenza di Bonomi, è toccato al vice Maurizio Stirpe – confermato nel ruolo rispetto alla gestione di Vincenzo Boccia – confrontarsi in remoto. Ma i toni di solito moderati di Stirpe hanno lasciato spazio ad una critica preliminare: «Vorremmo esprimere la nostra perplessità sul fatto di tenere i tavoli separati con le controparti sindacali senza mai arrivare a fare una sintesi sui problemi che riguardano tutte le parti sociali. Questo alla lunga può costituire a un grave vulnus», ha detto Stirpe, andando completamente contro l’apprezzamento espresso da tutti gli altri attori sentiti.

PER CONFINDUSTIA LA RIFORMA degli ammortizzatori sociali «è strettamente connessa al blocco dei licenziamenti. Su questo aspetto ci vuole pragmatismo e un approccio empirico – ha commentato Stirpe – dove ci sono attività ferme perché il governo decide di fermarle è giusto che ci sia il blocco dei licenziamenti. Ma dove non ci sono condizioni di sospensione per legge, ma riduzione di attività dovute al mercato, dobbiamo consentire alle aziende di potersi riposizionare per far ripartire il mercato del lavoro», ha detto. Il tutto condito con il solito attacco al reddito di cittadinanza «che non dà nessuna risposta in termini di politiche attive». Non solo. «Sarebbe utile» rivedere «alcune storture causate dal decreto Dignità sul contratto a termine, mitigando aspetti che rischiano di bloccare la ripresa occupazionale in settori particolarmente colpiti dal Covid come quello dei servizi».

LEGGERMENTE DIVERSA la posizione delle cooperative: «Prorogare la cigassa Covid; attivare subito più efficaci strumenti di politiche attive; avviare una riforma degli ammortizzatori in direzione di un ammortizzatore unico; prevedere un percorso graduale di allentamento del divieto di licenziamento, che si ponga in alternativa al ricorso agli ammortizzatori sociali», spiega il presidente dell’Alleanza delle cooperative (e di Legacoop) Mauro Lusetti: «Pensiamo che dal divieto di licenziamento in scadenza il 31 marzo sia opportuno uscire attraverso un percorso graduale con un regime differenziato: impossibilità di licenziare per le imprese che utilizzano gli ammortizzatori Covid, possibilità di farlo per quelle che non li usano».

DIAMETRALMENTE OPPOSTA la posizione dell’Usb: «Rinnovare per tutti i settori sia il blocco dei licenziamenti che l’utilizzo della Cig, anche in deroga, intervenire con decisione contro la piaga del lavoro nero o parzialmente contrattualizzato; introdurre il salario minimo per legge non inferiore a 9 euro (cavallo di battaglia dell’ex ministra Catalfo, ndr); ridisegnare il sistema degli appalti per evitare aggiramento dei contratti, salari bassi, alto tasso di sfruttamento e contrazione dei diritti sindacali».