Il convegno è laggiù in fondo. I corridoi del carcere di Bollate sono dipinti con i colori pastello e sono lunghissimi. A destra e a sinistra si intravedono le gabbie per i detenuti, i panni appesi alle grate. La polizia penitenziaria è gentile, c’è profumo di pulito e agitazione da grande evento. Ecco un “carcere modello”, un’anomalia dicono tutti, pensare agli altri mette i brividi. Impossibile percorrere quei corridoi senza porsi una domanda: davvero basteranno sei mesi di “idee” per cambiare il carcere in Italia?

 

Questo è l’obiettivo dichiarato degli “Stati generali dell’esecuzione penale”, un inedito percorso di approfondimento con 18 “tavoli tematici” che in autunno dovrebbe tradursi concretamente, “sia a livello normativo che organizzativo”, in nuove regole con cui riformare il sistema dell’esecuzione penale. Lo promette un ministro che per la prima volta ha coinvolto non solo gli “addetti ai lavori” ma anche il mondo della cultura, dell’economia, dello spettacolo e del volontariato per cercare di parlare all’opinione pubblica, troppe volte ostaggio della retorica della sicurezza e della “politica della paura”. La parola chiave che segna un cambio di rotta è “umanità”, come recita l’articolo 27 della Costituzione quando dice che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità; ed è lo stesso concetto espresso dal ministro della Giustizia Andrea Orlando in chiusura di una lunga mattinata dentro al carcere di Bollate (Milano): “Il carcere è anche il luogo dell’umanità”.

 

In sala, dopo un documentario, vengono lette le parole di Giorgio Napolitano. L’ex presidente ammette gli “innegabili progressi” fatti in seguito alla condanna della Corte europea dei diritti umani, ma lascia intendere che non basta: “Va perciò ribadito con la massima chiarezza e concretezza che non sono consentite pause e incertezze nell’azione da condurre su questo cruciale fronte di civiltà giudiziaria e di politica costituzionale per il rispetto della dignità della persona”.

 

Il lavoro è immane, le intenzioni del ministro della Giustizia sembrano sincere. “Questa iniziativa – commenta Marco Pannella – è un segnale di crescita e attenzione reciproca che era urgente”. Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, con un saluto poco rituale, sottolinea la necessità di portare a casa qualche risultato, “perché quello che si vorrebbe fare non sempre coincide con ciò che è possibile fare”. Se l’ordinamento giudiziario è in assoluto il migliore al mondo, dice Pisapia, “le carceri risultano essere le migliori del terzo mondo”. Questa l’urgenza: “Bisogna avere coraggio di fare qualcosa di praticabile, bisogna superare la logica della sanzione carceraria”. E’ il tema dell’alternativa alla detenzione, uno dei diciotto che verranno affrontati in quella che si annuncia come una consultazione lunga sei mesi. Il giurista e filosofo del diritto Luigi Ferrajoli parla di “impazzimento” del sistema penale (con 36 mila figure di reato) e mette l’accento su quello che dovrebbe essere il “primo obiettivo” di questo semestre di riflessioni: “Eliminare quella vergogna che è l’ergastolo”.

 

Del ministro Orlando colpiscono i toni pacati e le riflessioni “impopolari”, considerando che nel senso comune (non solo dell’opinione pubblica) prevale lo sbrigativo concetto “buttiamo via la chiave”. Il ministro, invece, chiede di far prevalere il senso di razionalità per coniugare il bisogno di sicurezza con un percorso di umanità per i detenuti. La complessità dell’argomento non permette incursioni nei dettagli della materia penale, ma Orlando indica due ricadute possibili a fine percorso: l’esercizio della delega sulla riforma del sistema penitenziario e “le misure alternative al carcere”. Ma niente indulto, precisa a margine del convegno. Lo chiama “patto di civiltà”, una necessità e un impegno che deve diventare patrimonio culturale sia dell’amministrazione carceraria che dalla magistratura. “Una pena civile vuol dire un paese più civile”.