Andrea Orlando, vice segretario Pd ed ex ministro della giustizia, mercoledì in senato si vota la mozione di sfiducia al ministro Bonafede. Il suo partito non gli risparmia critiche ma voterà contro la mozione. Con qualche imbarazzo?
Nessun imbarazzo, la mozione va respinta con convinzione perché è strumentale ed è basata su argomenti infondati: le allusioni a oscure ragioni per la scelta del capo del Dap e il nesso inesistente tra provvedimenti del governo e scarcerazione dei boss mafiosi.

Al fondo però c’è l’attacco di Di Matteo a Bonafede e la parabola di un giustizialismo che il Pd dichiara di avversare.
Sotto il profilo culturale questa vicenda dimostra che quando si cavalca la tigre prima o poi la tigre ti azzanna. Quando ero ministro il Dap fece una circolare per omogeneizzare il trattamento del 41 bis in tutti gli istituti, nessun lassismo, secondo le indicazioni della Cedu. Bastò questo per far dire al M5S che si era riaperta la trattativa con una mafia. Ho subito sulla pelle quel metodo, non è il mio e lo combatterò sempre.

Ma le difficoltà di Bonafede aumentano, ha dovuto lasciare anche il suo capo di gabinetto coinvolto nelle intercettazioni del caso Palamara.
Appunto, non voglio usare contro i 5 Stelle il metodo che i 5 Stelle hanno usato contro gli altri.

 

 

Le differenze tra voi sono politiche non giudiziarie. Per quanto ancora riuscirete a metterle da parte?
Non le nascondiamo, le affrontiamo. Un conto è respingere le teorie del complotto, un conto è discutere come è stato condotto il Dap negli ultimi mesi, in continuità con il governo gialloverde. Speriamo che la nuova guida porti a risultati diversi. Va ripresa la riforma dell’ordinamento penitenziario che Bonafede ha messo in un cassetto all’inizio della legislatura. Con quella riforma avremmo avuto gli strumenti per gestire la situazione di difficoltà provocata dalla pandemia senza scaricare le responsabilità sulla magistratura di sorveglianza. E senza determinare rischi per la sicurezza. Sarebbe stata possibile una gestione intelligente dell’esecuzione della pena con più strumenti oltre al carcere.

Peccato sia stata la maggioranza di centrosinistra a non avere il coraggio di approvare quella riforma.
È vero, sarebbe intellettualmente disonesto dare tutta la colpa alla destra. È una storia lunga, sul finire della precedente legislatura ci sono state molte frenate all’interno del centrosinistra e non tutti quelli che oggi si presentano come garantisti lo erano allora. Anche Forza Italia diede il suo contributo a stopparla, a proposito di garantisti a corrente alternata. Salvini e i 5 Stelle hanno dato il colpo finale.

L’emergenza Covid ha interrotto il confronto sulla giustizia, il processo penale attende di essere riformato. Si può ripartire?
Sì, ma non dal punto di partenza quando si agitavano le bandiere invece di confrontarsi nel merito. Dobbiamo riprendere il discorso sull’efficienza del processo penale che è un bene scarso e va utilizzato solo per le forme di illecito non contrastabili in altro modo.

Sta proponendo una depenalizzazione?
Sto proponendo di spingere sui riti alternativi, di rafforzare le misure amministrative e tutto ciò che evita di intasare i tribunali.

Un anno fa 5 Stelle e Lega hanno fatto il contrario, escludendo i reati punibili con l’ergastolo dai riti alternativi. Si può tornare indietro?
Quello è stato solo l’ennesimo cedimento al populismo penale. La ratio del sistema accusatorio è produrre una convenienza a chiudere prima del processo. Sono anche per discutere di depenalizzazioni mirate, ma in modo serio. Ricordo che quando introdussi una depenalizzazione di tutti i reati puniti solo con pene pecuniarie parlarono di “svuota carceri”. Per quei reati non si andava nemmeno in carcere.

Ripartirebbe dalla legge delega sulla quale il governo aveva trovato una faticosa intesa a febbraio?
C’è soprattutto un tema che merita attenzione. Da quel disegno di legge delega era rimasta fuori la riforma del Csm. Mi domando se, alla luce delle pratiche che sono emerse nel Consiglio e attorno al Consiglio, non sia invece il caso di cominciare da lì. Era stato trovato un buon punto di partenza, prevedeva una nuova legge elettorale della componente togata e la riforma del disciplinare. Secondo me si devono legare di più le valutazioni di professionalità a criteri oggettivi, alle performance degli uffici giudiziari.

La nuova legge elettorale per la componente togata del Csm piaceva poco alla magistratura.
Se piace poco ai rappresentanti delle correnti non è detto che sia un male. La magistratura associata nei primi giorni del caso Palamara ha reagito con forza, ma poi non è stata capace di una seria riflessione sulle prassi che portano a questi fenomeni.

Sicuro che basti una riforma elettorale del Csm? Anche l’ultima era stata fatta per diminuire il peso delle correnti.
C’è anche il tema del disciplinare e il disegno di legge lo affronta. Poi bisogna cambiare le regole che consentono di lasciare le sedi vacanti in attesa che si raggiunga un numero sufficiente di incarichi da assegnare con la logica del pacchetto. Sono prassi che vanno impedite non criticate moralisticamente. Per questo è importante che ci sia un’apertura anche ad altri mondi, che si rompa l’autoreferenzialità della magistratura. Gli avvocati devono entrare con maggior peso nei consigli giudiziari, anche nelle valutazioni. Gli uffici devono confrontarsi, essere anche un po’ valutati sul territorio, dovrebbero esserci forme di consultazione sulla qualità dell’azione giudiziaria.

Per questa via si arriva in un attimo al procuratore eletto.
Assolutamente no, non si tratta di questo, ma della necessaria interlocuzione con la società e le altre istituzioni su come si organizzano gli uffici in maniera trasparente e pubblica. Del resto non tutti gli uffici sono efficienti allo stesso modo. Ci sarà un motivo?