Martedì il ministro degli interni Marco Minniti, dal palco della festa dell’Unità di Pesaro, aveva detto di aver temuto «per la tenuta democratica del paese», davanti «all’ondata migratoria e alle problematiche di gestione dei flussi avanzate dei sindaci». Il giorno dopo, dallo stesso palco, il ministro della giustizia Andrea Orlando aveva replicato: «Non credo sia in questione la tenuta democratica del Paese per pochi immigrati rispetto al numero dei nostri abitanti. Non cediamo alla narrazione dell’emergenza altrimenti noi creiamo le condizioni per consentire a chi vuole rifondare i fascismi di speculare». Non esattamente un’identità di vendute, nel governo e nel Pd, insomma.

Ieri Orlando, intervenuto alla Festa dell’Unità di Genova, ha gettato acqua sul fuoco riferendo di un incontro con il collega del Viminale in aeroporto a Roma: «Abbiamo fatto due chiacchiere sulla vicenda e devo dire che ci siamo chiariti. Peraltro devo dire che mi è stata attribuita una valutazione che sarebbe abbastanza surreale perché con quelle frasi avrei smentito le attività del ministro Minniti. Ma i decreti che affrontano il fenomeno migratorio portano la doppia firma, mia e sua. Quindi non ho alcun dubbio sull’operato positivo del ministro dell’Interno». Eppure, insiste Orlando, «mi sono permesso di rispondere, ma spero che si possa ancora fare, che io non do la stessa lettura dei pericoli che corre la nostra democrazia. Ritengo che la nostra democrazia corra dei pericoli, ma ritengono che i fattori che la mettono a rischio siano più complessi e più articolati del numero degli sbarchi dei migranti».

Secondo il guardasigilli, «la guerra fra gli ultimi c’è perché ci sono gli ultimi anche nel nostro Paese e di cui non sempre ci siamo occupati con sufficiente determinazione» e «l’insieme di questi fenomeni può creare tensione rispetto alla tenuta democratica».