Filippo Miraglia qual è la tua visione dell’Arci?

Credo in un modello organizzativo orizzontale con un gruppo dirigente aperto e una gestione il più possibile partecipata e collettiva. Non è solo una questione di organizzazione ma anche una questione sociale, politica e culturale. E’ vero che siamo nella stagione di un uomo solo al comando, ma proprio per questo l’Arci deve essere in grado di mettere in pratica un altro modello.

Tra te e Francesca Chiavacci ci sono anche differenze più squisitamente di collocazione politica?

Francesca è del Pd io non ho tessere di partito. Ma per me l’Arci non può essere neutrale. Dobbiamo essere all’interno di un progetto di cambiamento. La nostra forza e peculiarità è costituita dal nostro grande radicamento sociale nel territorio. Questa forza dobbiamo spenderla e metterla a disposizione di una discussione e di un percorso preciso e comune di cui deve essere consapevole e partecipe chiunque ha in tasca la nostra tessera. Non possiamo limitarci ad erogare servizi ai circoli. Abbiamo il compito di ribaltare l’egemonia culturale delle destra che in questi anni è cresciuta moltissimo. Per farlo è necessario relazionarsi con i movimenti e le vertenze sindacali nei territori, offrire lo spazio culturale e fisico perché questi movimenti non si perdano ma riescano a costruire una partecipazione stabile nel tempo. Non possiamo essere un’organizzazione liquida, non siamo la televisione, siamo costituiti dai circoli, spazi fisici, eventi e attività concrete, persone in carne ed ossa. Per me Arci è un soggetto sociale, culturale e politico per costruire insieme un alternativa possibile.

Rispetto ai partiti come si colloca la tua Arci?

Troppo spesso le forze di sinistra in questi anni hanno inseguito le destre e non hanno saputo costruire una reale alternativa. L’Arci deve mantenere una autonomia che diventa autorevole proprio perché libera, critica e aperta.

A proposito di autonomia si può dire che tu rappresenti il nazionale contrapposto ai territori, in particolare Toscana ed Emilia dove Arci è da sempre più radicata?

Dipingermi come funzionario nazionale e basta è piuttosto caricaturale. Ho iniziato da volontario per passione in Toscana, dal 2004 mi occupo di immigrazione al nazionale ma ho sempre continuato a girare in tutta Italia. Per questo credo di avere una visione a 360 gradi. Sono unitario ma non verticistico. Non può essere che i vari territori, i diversi circoli e i tanti tesserati abbiano in comune solo la tessera. Ma l’unità si ritrova nella collegialità. Senza che alcuni territori dove Arci è tradizionalmente più presente per ciò stesso debbano essere più forti degli altri nell’associazione. Le differenze tra nazionale e territori, e fra un territorio e un altro, devono diventare un’occasione per cambiare in meglio.