«Un partito cattivo, pericoloso, dannoso». C’è scritto nell’anticipo della relazione di Fabrizio Barca sul Pd di Roma. Ne parliamo con Matteo Orfini, presidente del Pd nazionale e commissario dei dem romani.

Orfini, «dannoso e pericoloso»: giudizio molto pesante.

È pesante, d’altra parte se il Pd di Roma è stato commissariato la ragione è anche perché era ormai preda di una guerra fra bande alla quale tutti abbiamo partecipato. C’è una responsabilità collettiva se siamo finiti così. Questa guerra tra bande ha allontanato tante persone dal Pd e il Pd dai problemi della città. Mentre noi eravamo presi dalla guerriglia interna nella nostra città la malavita attecchiva.

La destra romana, a partire da Storace, vi replica: allora lasciate le amministrazioni.

Parliamo di persone che non hanno titolo ad aprire bocca. La vicenda criminale di Mafia Capitale nasce con il governo della destra. Massimo Carminati prima di tutto era un fascista che insieme a una rete di ex camerati ha preso il possesso dei luoghi decisivi della città. Che i protagonisti politici degli anni in cui accadeva questo si permettano di parlare del Pd è insopportabile e pure ridicolo.

Alcuni presunti criminali sui quali si indaga nell’inchiesta Mafia Capitale hanno avuto un ruolo anche durante la sindacatura di Veltroni.

Finora l’unico amministratore indagato per il 416 bis è Alemanno. Mentre Marino rifiuta la scorta perché qualcuno lo considera nemico. In una città in cui la criminalità ha infiltrato l’impresa, la politica e in alcuni casi anche l’informazione, noi siamo gli unici che hanno iniziato un’opera di pulizia radicale. Quelli che hanno molta più responsabilità di noi hanno fischiettato, e continuano a farlo. Assistiamo persino a fantastici fenomeni di trasformismo di importanti esponenti della destra che si trasformano in leghisti di Salvini.

La relazione di Barca ha ’capi d’accusa’ durissimi, ma non si fa un nome. Per alcuni militanti Pd il rischio è un processo sommario a tutti.

No, quell’analisi parla anche di un «partito buono e sano», quello dal quale vogliamo ripartire. Per ora è solo un’anticipazione. Quando arriverà il rapporto finale conterrà circostanze dettagliate. Il partito sano c’è, ma è ovvio che in una città in cui prendiamo 500mila voti e abbiamo solo 9mila iscritti, neanche tutti veri, il modo in cui ci presentiamo è respingente persino per gli elettori.

State facendo lo screening delle tessere. Lei ha parlato anche di filiere di potere, dai circoli in su fino agli amministratori e ai parlamentari. Finirà con l’espulsioni anche di dirigenti?

Si vedrà alla fine. Per ora stiamo facendo le verifiche che servono a isolare i casi di degenerazione e a valorizzare invece i casi positivi. Quando finirà il commissariamento chi ha sbagliato dovrà pagare e quei meccanismi non potranno più avere cittadinanza nel Pd.

Alcuni dirigenti romani parlano di un clima di sospetto generale sul partito che non facilita la ricostruzione.

È una preoccupazione infondata. Chi ha voglia di lavorare per ricostruire il Pd non deve avere paura, deve preoccuparsi chi lo ha distrutto. Siamo già a buon punto sulla ricostruzione, in questi mesi c’è stata nel partito una reazione sana.

In un’assemblea cittadina qualche giorno fa si è parlato di «immobilismo conseguenza del commissariamento», a proposito del Pd romano. E anche di qaulche eccesso di «identificazione fra Mafia Capitale e Pd».

In una bella iniziativa il procuratore Michele Prestipino ci ha spiegato che quando si parla di mafia il negazionismo è grave ma il riduzionismo rischia di fare ancora più danni. Non dobbiamo avere timore a ammettere che se la mafia esiste è anche perché il Pd ha fatto troppo poco. Oggi dobbiamo essere ’Antimafia Capitale’. Che il commissariamento produca immobilismo a me non pare: si può sempre fare di più, ma in mesi complicati abbiamo aiutato il rilancio dell’azione amministrativa e, quanto al Pd, stiamo lavorando per arrivare ad aprile, quando aprirà il tesseramento, pronti a presentarci alla città con un modello organizzativo nuovo, trasparente e rigenerato. Questa sfida la vinciamo solo se se saremo invasi dagli elettori. Garantisco che troveranno un partito accogliente, con regole chiare, in cui sarà impossibile ripetere il passato.

Il malumore del Pd contro il sindaco, che prima del commissariamento era evidentissimo,  oggi si è volatilizzato?

Verifico una grande voglia di dare una mano al sindaco nei nostri circoli e tra la gente. Il lavoro che sta facendo, data l’eredità ricevuta, è difficilissimo. Ma c’è la consapevolezza che va aiutato.

Marino ha detto che vuole restare sindaco fino al 2023.

Un ciclo di governo amministrativo ragionevolmente dura due mandati. Così abbiamo cambiato Roma, con esperienze di cui siamo orgogliosi.

Invece quando finisce il commissariamento del Pd romano? C’è chi chiede un congresso.

Chi chiede il commissariamento non ha capito la gravità della situazione. Se lo facessimo ora, lo faremmo fra i 9mila iscritti meno i falsi, cioè tra noi. Ma noi non bastiamo a ricostruire il Pd, dobbiamo diventare una comunità più larga. L’obiettivo è chiudere il commissariamento prima dell’inizio del Giubileo, l’8 dicembre. Chi chiede il congresso dia una mano a fare presto.

L’8 dicembre è il compleanno del Pd di Renzi. Nel partito di Roma è in corso una normalizzazione renziana?

Assolutamente no. Se interpretassi il commissariamento come il tentativo di costruire un equilibrio diverso da quello di prima sarebbe un fallimento. Dobbiamo costruire un gruppo dirigente nuovo, coeso e autorevole che sradichi i meccanismi di degenerazione correntizia. Ci sarà certo il pluralismo, ma quello delle idee, non di blocchi di potere.

Finiranno fuori tutti i vecchi dirigenti?

Non lo decido io. Lo decideranno gli iscritti. A quell’appuntamento arriveranno più forti quelli che interpreteranno questa fase con spirito di ricostruzione. E più deboli quelli che proveranno a ripetere i meccanismi del passato.