Era chiaro sin dal primo momento o quasi. La registrazione della telefonata tra Renzi padre e Renzi figlio intercettata e pubblicata dal Fatto offre al segretario del Pd l’occasione per lanciarsi nel contrattacco. Come spesso capita, Renzi lascia al presidente del partito, Matteo Orfini, il compito di impugnare la clava. Orfini non si fa pregare. Intervistato dall’Huffington Post spara a palle incatenate. La nutrita raffica di accuse mosse non solo dal Pd ma anche dalla destra contro la «gogna mediatica» non gli basta. È repertorio in questo caso «c’è qualcosa di più profondo dell’aggressione al Pd e al suo segretario. C’è qualcosa che riguarda il funzionamento della democrazia italiana e che dovrebbe allarmare tutti quanti. Un attacco alla democrazia».

Non sono parole inaudite. Sono state pronunciate infinite volte, in passato, da Berlusconi e dal suo intero esercito. Però non era mai successo che ad adoperare toni simili fosse il Pd. Ma l’identità di posizioni è più apparente che reale. Anche se il presidente del Pd invoca, come da copione, l’intervento del Csm e quasi apertamente chiede al ministro Orlando di inviare gli ispettori di via Arenula a Napoli, né lui né Renzi hanno alcuna intenzione di avvitarsi in uno scontro dall’esito imprevedibile e comunque rischiosissimo con il potere togato. La caccia è aperta ma la preda non sono i giudici: sono i giornalisti. Orfini non la manda a dire: «Io non ritengo necessario cambiare le norme sulle intercettazioni, però questa posizione regge solo se nel mondo dell’informazione c’è un’assunzione di responsabilità». Il monito è brutale e aperto: «A questo punto chiediamo ai direttori, invece di mettersi il bavaglio, di provare a distinguere le notizie dalla spazzatura».

Non sono parole in libertà, ma il segnale di una carica a tutto campo, dal fronte dei media alla legge elettorale, che Renzi ha ordinato nel momento stesso in cui, dopo le primarie, si è sentito di nuovo tanto forte da poterlo fare. L’autogol del Fatto gli ha offerto una scusa perfetta, ma a questo punto si sarebbe comunque arrivati alla prima occasione.

Provano e fare barriera i 5S e l’Mdp. Speranza segnala la somiglianza tra l’«intemerata» di Orfini e quelle antiche di Berlusconi: «È sorprendente e dimostra come è cambiato il Pd». Crimi ritorce l’imputazione: «L’unico vero complotto è quello messo in atto dalla banda renziana». È probabile che il contrattacco di Renzi abbia valenza preventiva e serva a intimidire i media a fronte di possibili nuovi siluri. Ieri, ad esempio, è emerso che nel corso dell’incidente probatorio di fronte al gip di Roma il funzionario Consip Marco Gasparri ha dichiarato che «Romeo parlò di intervento ad altissimi livelli. Gli chiesi se era Renzi. Non disse né si né no». Al momento, però, sul fronte politico l’offensiva di Renzi avanza.

Incontra un ostacolo imprevisto: l’uomo che per tre anni più di ogni altro lo ha coperto e protetto, l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano. Che Renzi si sia rivelato una delusione cocente per l’ex presidente è cosa nota. Stavolta però la replica è indiretta ma durissima: «Tutti adesso gridano contro l’abuso delle intercettazioni e l’abuso della pubblicazione. È un’ipocrisia paurosa. Io personalmente ho messo il dito in questa piaga e non c’è mai stata una manifestazione di volontà politica per concordare provvedimenti». È un fendente su due fronti. Contro l’abuso delle intercettazioni, ma anche contro chi usa quella battaglia strumentalmente.