L’isola di legno del titolo è una sorta di Eden o ancor meglio una terra promessa, un posto dove tutti i sogni possono realizzarsi. Il giardino terrestre per uomini e donne. Utopia? Probabilmente ma alla musica non vanno messi ostacoli. E allora all’Orchestra di piazza Vittorio che festeggia i dieci anni di attività con un disco, L’isola di legno appunto, registrato in tre giorni nel maggio dello scorso al Parco della Musica di Roma, non impedite di sognare. Dieci anni di vita durante i quali sono entrati e usciti, e poi ritornati, musicisti dalla Tunisia, Senegal, America, Italia, Cuba, Brasile, India. Tutto un mondo fatto di tablas, percussioni, chitarre tastiere e archi, un magma sonoro quasi esagerato a cui non si sottraggono nemmeno le quattordici nuove canzoni.

Mario Tronco è il mastro concertatore nonché l’ideatore di questa orchestra multilingue che insieme ad Agostino Ferente – andate a recuperare il documentario realizzato otto anni fa – ha messo in piedi avendo come base il quartiere multietnico della capitale, l’Esquilino. «Il senso dell’orchestra- spiega l’ex Avion Travel – il suo messaggio, è duplice. Il primo è politico, quando abbiamo iniziato nel 2003 abbiamo voluto affermare con chiarezza che unire culture diverse produce bellezza. L’altro messaggio è musicale: non volevo mettere insieme artisti provenienti da posti lontani piuttosto volevo fossero background musicali diversi per cui possiamo avere un cuore molto folk ma anche ricco di archi, retaggio occidentale, di fiati, il jazz».

Il risultato sono dieci anni fatti di tour infiniti, dischi, premi della critica: «Non sarebbe sopravvissuto se non avesse avuto l’anima di un gruppo. Si chiama orchestra ma il cuore pulsante è quello di una band. Non è l’orchestra di Mario Tronco, bensì un’orchestra fatta di autori. La scelta dei pezzi per questo disco è stato un lavoro di insieme notevole, selezionato esclusivamente dal pubblico. Sono canzoni che abbiamo prima provato sul palco, davanti agli ascoltatori, e dopo sono finite su disco. Un percorso inverso alla consuetudine». Canzoni che profumano di strada, melodie cantabili. Verrebbe quasi da dire che l’Orchestra dimostra come anche la canzonetta radiofonica può trasformarsi e contaminarsi… «Sono contento di questa osservazione perché è vero, i pezzi sono il frutto del lavoro fatto sulla forma canzone che sembra scontata per noi occidentali, ma non lo è per la musica araba, indiana. La struttura strofa e ritornello è solo nostra, i musicisti dell’Odpv hanno una sensibilità diversa, sono degli ibridi. Nel senso che quando sentono la radio italiana, mescolano quei suoni con una loro sensibilità».

L’esperienza dell’Orchestra è partita con quella del Piccolo Apollo, associazione culturale romana del quartiere Esquilino che ha recuperato un vecchio cinema con l’idea di trasformarlo in un polo culturale. Ma la storia non ha avuto, purtroppo, un lieto fine: «Non faccio più parte dell’associazione, e purtroppo non ci sono stati sviluppi. Una volta che il comune ha acquistato l’immobile ci si è fermati, perché il problema alla fine era il cappello politico. Si diceva ’troppi costi’ nel restauro, ma si poteva iniziare facendo qualche intervento, muovendosi per gradi. Questo ha avvilito la forza che l’associazione aveva fino a quel momento. Un progetto forte, un esperimento non solo romano ma che voleva dimostrarare la sua importanza su scala nazionale. E invece tutto ha perso forza».