Adesso tocca anche sopportare le provocazioni ungheresi. Con una lettera inviata al premier Paolo Gentiloni ieri il leader magiaro Viktor Orbán ha chiesto all’Italia di chiudere i suoi porti agli sbarchi di migranti e offerto «l’aiuto» di Ungheria, Polonia, repubblica Ceca e Slovacchia – i quattro Paesi del gruppo Visegrad – nel contrastare il flusso dei barconi provenienti dalla Libia. Senza escludere, se necessario, «azioni militari» nel paese nordafricano.

Arrivate dopo la minaccia austriaca di chiudere la frontiera del Brennero se i migranti non verranno fermati a Lampedusa, più che un’offerta di collaborazione le parole di Orbán suonano come una beffa. Proprio Ungheria, Polonia e repubblica Ceca, infatti, sono tra i Paesi che in due anni si sono rifiutati di accogliere profughi dall’Italia e dalla Grecia, al punto da spingere la Commissione europea ad avviare una procedura di infrazione contro di loro. E infatti la reazione di palazzo Chigi non si fa attendere: «Dai Paesi dell’Ue abbiamo diritto di pretendere solidarietà, non accettiamo lezioni, tanto meno possiamo accettare parole minacciose», è la replica del premier italiano.

L’uscita inopportuna di Orban segue di poche ore le parole del ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz che ormai un giorno sì e l’altro pure minaccia di chiudere il Brennero. Ma lascia intravvedere anche una possibile strategia comune tra Vienna e il gruppo di Visegrad. Da mesi infatti i cinque Paesi convocano vertici per discutere come rendere più sicuri i propri confini da improbabili invasioni di migranti e muovendosi sempre quasi come un gruppo a parte rispetto all’Unione europea. La novità è che adesso agiscono insieme anche nel fare pressioni all’Italia perché adotti misure più radicali per fermare il flusso di migranti. «Se non verranno chiusi i porti – ha detto ieri Orbán parlando alla radio pubblica ungherese – il problema diventerà ingestibile dato che austriaci e tedeschi chiuderanno presto le loro frontiere».

L’unica soluzione possibile per Budapest è quindi quella di bloccare i migranti prima che partano dalla Libia, obiettivo al quale tra l’altro l’Italia sta lavorando da tempo. Per farlo i quattro di Visegrad offrono il loro contributo nella attività dell’Unione europea ai confini meridionali del paese nordafricano, oltre che alla gestione di hotspot da realizzare fuori dai confini dell’Unione e all’addestramento della Guardia costiera libica. Tutte cose sulle quali Ungheria, Polonia, Slovacchia e Cechia arrivano abbondantemente in ritardo, ma che servono adesso ai paesi dell’Est per sviare l’attenzione dalle loro inadempienze e per provare a bloccare la trattativa con cui Roma prova da mesi a convincere l’Unione europea ad assumersi la sua parte di responsabilità nell’accoglienza delle decine di migliaia di disperati che rischiano la vita attraversando il Mediterraneo.

L’intervento ungherese non è stato però l’unico ieri a essere stato giudicato inopportuno. A palazzo Chigi non è piaciuto infatti neanche l’invito che il presidente francese Emmanuel Macron ha rivolto al leader libico Fayez al-Serraj e al generale Khalifa Haftar per un vertice sulla Libia che dovrebbe tenersi martedì prossimo a Parigi. Macron intenderebbe sfruttare l’influenza che Parigi ha su Haftar per provare a raggiungere un accordo che porti alla pacificazione del Paese e che, se davvero venisse raggiunto, non potrebbe non avere ripercussioni anche sulle partenze dei barconi diretti in Europa. Da tutto questo lavoro diplomatico, però, a quanto pare l’Italia è stata tagliata fori senza tanti complimenti, cosa che avrebbe irritato non poco palazzo Chigi e, in particolare, il Viminale che da mesi organizza summit con il leader Serraj, sindaci delle città libiche e capi tribù alla ricerca di una collaborazione utile a contrastare l’immigrazione.

Proprio per questo motivo, cercare alleanze che limitino gli arrivi in Europa e prima di tutto in Italia, lunedì si apre a Tunisi una conferenza alla quale oltre al gruppo di contatto europeo composto da Italia, Germania, Francia, Austria e Svizzera, parteciperanno anche Libia, Algeria, Ciad e Niger. Obiettivo, anche in questo caso, sarà quello di riuscire a convincere in particolare i governi di Ciad e Niger a rafforzare i controlli lungo i cinquemila chilometri di frontiera in comune con la Libia in cambio di investimenti. Nei due Paesi del Sahel dovrebbero inoltre essere aperti campi profughi gestiti da Oim e Unhcr per incentivare i rimpatri volontari.