Sugli spalti di Elsinore, a notte, gli uomini del corpo di guardia. Uno degli ufficiali, Marcello, chiede se sia di nuovo apparsa «la cosa» (has this thing appear’d again to-night). La ‘cosa’: viene subito precisato di che si tratti. Secondo Orazio, dice Marcello, non è altro che una nostra fantasia (’tis but our fantasy) e non, invece, una vista orrenda (dreaded sight), una apparizione (apparition) che già si è ripetuta due volte. Ed ecco, mentre Bernardo, l’altro ufficiale, racconta («La notte scorsa – quella stella là, un poco a ponente del polo, era arrivata a schiarir nel suo giro giusto la parte del cielo dove ora brilla – Marcello e io, la campana batteva il tocco…») Marcello grida: «Zitto! Guardate! Là, eccolo, torna!». Ombra, chiusa nella sua armatura che, «nel morto silenzio della mezzanotte» (in the dead vast and middle of the night), si fa avanti, «lenta, solenne, piena di maestà», come riferirà poi Orazio ad Amleto, nella «figura di vostro padre» (a figure like your father).

Il suo manifestarsi, trascorrendo mobile, rappreso entro le tenui e incerte luminosità notturne, turba e atterrisce le scolte, ma, interpellato, il fantasma non risponde alle domande di Orazio. Pure, nota Bernardo, mostra desiderio a che gli si parli, it would be spoke to. E infatti sembra cercare, tra i presenti, il suo interlocutore, ma, poiché non lo trova, tace. Affida tuttavia la sua eloquenza a quel suo rendersi visibile e prender fisionomia certa. E all’esser visto. Si mostra figure, image, illusion, shape: questi i termini con i quali lo designa Shakespeare.

Il suo apparire e il solo vederlo, inducono a ragionamenti e a pensieri. Gli astanti tentano di rispondere all’enigma: illusoria forma che si rende presente, che prende aspetto e si condensa, radunando le nebbie, innanzi agli occhi. È uno specialissimo farsi presenza, questo assumere una riconoscibile forma, un tale consistere come immagine che prende posto e si imprime in linee e volumi che vanno a occupare la tua prospettiva, lo spazio che hai di fronte. Accade, diresti, in virtù di un procedimento che si muove e viene configurandosi via via nella mente e, al contempo, grado a grado si rapprende e si installa in una apertura che accoglie sensazione e immaginazione. Fa di un pensiero una percezione.

Quando Orazio si reca da Amleto per raccontargli di quella inquietante apparizione notturna sui camminamenti di Elsinore, il giovane principe gli dice: «Mio padre, mi pare di vederlo…», e Orazio, stupito: «oh! Dove, Monsignore?»; e Amleto, continuando: «con gli occhi della mente, Orazio» (in my mind’s eye, Horatio). Orazio, che, dal canto suo, al primo presentarsi dello spettro aveva giudicato quella vista bastevole «a turbar l’occhio della mente» (to trouble the mind’s eye). Occhio della mente, volto all’interno, inteso a investigare l’hominis animus (che vale mens, appunto, ad elaborare una animi conscientia).

Non per caso, allorché Amleto, a sua volta, si trova di fronte alla dreaded sight, alla sconcertante apparizione, subito parla allo ‘spirito’ di suo padre (I am thy father’s spirit). Parla nello spirito di suo padre: ovvero l’animo, la mente, la coscienza che Amleto vien facendo proprie. Egli non parla al fantasma, non interroga lo spettro che, pur rendendosi visibile anche ad altri, per gli altri è muto. Trova ogni risposta perché è a sé medesimo che Amleto parla e pone domande ed è a sé medesimo che risponde. Corrisponde. Scorgendo il padre in figura, Amleto constata: thou comest in such a questionable shape, «ti mostri, nell’aspetto, così pronto alla risposta», come traduce, riprendendo una locuzione dantesca, Cesare Vico Lodovici. Questionable shape, ombra endiadi di interrogazione e risposta. Lodovici appone al verso scespiriano una nota, relativa alla resa di questionable shape. «Fortunato lo Schlegel, dice, al quale la congenialità dell’idioma offre l’aggettivo equipotente ed equivalente: fragwürdig». Lo potremmo noi qui rendere con ‘degno di interlocuzione’, ‘vocato all’argomentazione’. E Lodovici aggiunge: «i fantasmi non potevano interrogare, ma dovevano essere interrogati». Un passivo che meglio va inteso e ragionato come riflessivo. È nel monologo che Amleto prende possesso di sé stesso.