Più sembri fuori contesto, meglio ti adatti. Lo Stato sociale e prima ancora Elio e le storie tese – fanno parte di quella curiosa tendenza del festival ad attrarre artisti e personaggi apparentemente fuori dalle logiche di quel palcoscenico. Così i cinque musicisti del collettivo bolognese, nel decimo anno di attività ricadono nel vizio e si ripresentano a Sanremo – ancora in gara – con Combat pop. Ma stranianti – e fedeli al loro essere un po’ fuori dalle logiche – decidono che il brano sarà l’unico condiviso dalle band che alla spicciolata, uno alla settimana, farà precedere l’apparizione sul palco dell’Ariston con la pubblicazione di cinque album da solisti .

IL PRIMO IN ORDINE di tempo a lanciarsi in questa singolar tenzone è Alberto – detto Bebo – Guidetti che ha appena rilasciato per Garrincha Dischi (Island Records) un ep di 5 brani che musicalmente ricalcano la sua abitudine di rimodulare suoni elettronici freddi – lavorati insieme a Matteo Romagnoli (storico produttore della band) su cui innesta un fitto florilegio di parole. «Abbiamo sempre cercato di spostare costantemente l’attenzione del pubblico da uno all’altro, sfuggendo l’idea di leadership». Cinque progetti, cinque modus operandi diversi: «Ci sono due piani principali di motivazione. Il primo, più nostro era il riuscire a saldare i cinque linguaggi che compongono il collettivo e la band. L’altro piano riguarda l’analisi del mercato discografico che ti dice che devi fare principalmente singoli, pubblicandoli uno dietro l’altro perché la soglia di attenzione è ridottissima. Noi abbiamo detto no, se il mercato dice così noi facciamo un’altra cosa che ci sembra più adeguata e rispettosa nei nostri confronti e di chi ci segue».
Nelle sue composizioni, Bebo alterna alla consueta ironia riflessioni sulla società pervase da una sorta di malinconia latente: «Vero, anche se malinconia non deve mai essere travisata con nostalgia che rifuggo completamente. Lo Stato sociale si definisce una band ‘antinostalgica’, non campiamo di ricordi. Non ci diciamo quanto era bello un tempo, ma quanto sarà bello domani. È da lì che sono partito, molti testi erano abbozzati da anni in un mio archivio personale, e ho scelto quelli che mi sembravano meglio rappresentare il momento». 2020: fuga dall’aperitivo è forse il pezzo che meglio intercetta la situazione: la politica allo sbando, i diritti dei lavoratori sempre più messi a rischio: «Quest’anno ho tolto la giacchetta dell’artista e ho messo la camicia del sindacalista. Ci siamo autorganizzati nel mondo dello spettacolo e della musica, così come si sono organizzati e autorganizzati altri lavoratori che prima pensavano che fosse normale campare da atomi nell’universo, senza mai guardarsi attorno».

POI HANNO SCOPERTO che insieme, forse, far voce comune aiuta: «Il problema direbbe Max Collini è la scomparsa dei ‘corpi intermedi’, bella istituzione novecentista che in questi anni è stata demolita a colpi di deregulation e sottrazioni dei diritti. Tra tanti colleghi, artisti o meno, in generale il lavoratore dello spettacolo non ha idea di come funzionasse di cosa volesse dire fare sindacato, in qualche maniera siamo andati all’avanscoperta di un mondo che era completamente abbandonato a se stesso anche, come dire, per propria colpa. Perché si è campato sugli allori, quindi l’obiettivo per me – persona di sinistra – è riuscire a sfruttare questa finestra prima della fine reale, speriamo, della pandemia e mettere così le basi di un nuovo inizio. Che sia più tutelato e tutelante perché adesso si può far battaglia, in qualche maniera strana via zoom, sui social. Dopo quando ci si troverà con l’acqua alla gola sarà tutto molto complicato».

LE POLEMICHE INTORNO alla vicenda Sanremo – anche se ora la Rai si è arresa al protocollo rigidissimo senza pubblico imposto dal Cts – dimostrano che nulla si vuole fare per sbloccare la situazione nel mondo dello spettacolo dal vivo: «Una vicenda gestita non dico in malafede ma con poca professionalità. Intorno al festival ci lavorano più o meno 5 mila persone: Amadeus si è trovato tirato per la giacchetta da chi paga l’evento e da un ministro della cultura che sembra comportarsi come un viceré che non sa nemmeno di aver firmato un decreto in cui si dice che un teatro si può utilizzare come uno studio di posa, con figuranti. Non dico malafede, ma sicuramente poca professionalità».