I timori in Libano per l’inizio di una nuova stagione di attentati li riassumeva ieri una foto pubblicata dal quotidiano francofono L’Oriente Le-Jour: donne di al Qaa tengono in mano fucili a difesa del loro villaggio, sulla frontiera con la Siria, colpito a inizio settimana da una raffica di attentati kamikaze. Attacchi che hanno fatto almeno cinque morti e 15 feriti e dei quali i media internazionali si sono occupati poco, come avevano fatto alla fine dello scorso anno quando le bombe umane dello Stato islamico, in anticipo sugli attacchi compiuti a Parigi, facero a pezzi decine di uomini, donne e bambini nei quartieri meridionali di Beirut. In Libano al contrario non si parla d’altro e tanti puntano l’indice contro i profughi, oltre un milione, che si sono rifugiati nel Paese dei Cedri dopo l’inizio della guerra civile in Siria.

L’esercito libanese tra martedì e mercoledì ha effettuato rastrellamenti nei campi profughi nell’area intorno a Qaa, cittadina cristiana, arrestando siriani entrati “illegalmente” o con i permessi di soggiorno non più in ordine. «In tutta la zona di al Qaa sono in corso operazioni delle forze di sicurezza, è stato imposto il coprifuoco e sono stati arrestati 103 siriani, alcuni dei quali, stando alle informazioni in nostro possesso, sono stati rilasciati», riferisce al manifesto Roberto Orlando, responsabile dei progetti in Libano della ong italiana Gvc, raggiunto al telefono nella Valle della Bekaa. Il Gvc dal 2012 assiste oltre 2000 famiglie di profughi nell’area di Mashariya al Qaa, assicurando tende, acqua potabile e altri aiuti umanitari.

Orlando racconta gli attentati avvenuti a inizio settimana. «I kamikaze hanno colpito alle prime ore del mattino. Si sono sentite urla, all’inizio gli abitanti hanno pensato a una persona ubriaca. La gente è scesa in strada e a quel punto un primo attentatore si è fatto saltare in aria». Poi, prosegue il cooperante italiano, «nelle fasi concitate seguite a questo primo attacco, altri kamikaze si sono fatti saltare in aria». A sera – prosegue Orlando – «ci sono stati altri attacchi dove la gente di al Qaa si era riunita per i funerali (delle vittime delle ore precedenti) che a quanto pare non hanno fatto morti ma solo feriti, una quindicina». Nelle ore successive, conclude Roberto Orlando, «l’esercito con la sua artiglieria ha preso di mira le alture circostanti dove, stando alle indiscrezioni raccolte dal nostro ufficio, agivano combattenti del Fronte al Nusra» (il ramo siriano di al Qaeda).

Non è giunta ancora alcuna rivendicazione, gli attentatori potrebbero essere anche libanesi. Governo e servizi di sicurezza però hanno parlato subito di attentati dell’Isis, compiuti da stranieri, e la stampa non ha mancato di sottolineare i presunti rischi causati della presenza in Libano di tanti profughi siriani, target della campagna di reclutamento dello Stato islamico. Il quotidiano conservatore An Nahar ha notato che gli attentati sono avvenuti alla vigilia dell’anniversario del massacro in al-Qaa e in altre cittadine cristiane in cui il 28 giugno 1978 persero la vita 26 giovani. «Gli abitanti della città non esageravano nel descrivere i campi (siriani) simili a Nahr al Bared con tutto ciò che questo implica rispetto ad elementi pericolosi che si nascondono tra i rifugiati al fine di realizzare attacchi terroristici», ha scritto An Nahar paragonando la situazione di al Qaa a quella dei centri abitati vicini al campo profughi palestinese di Nahr al Bared dove nel 2007 si infiltrarono i miliziani di Fatah al Islam (gruppo salafita armato) che fu distrutto in buona parte delle cannnonate dell’esercito libanese durante combattimenti durati mesi e costati la vita di centinaia di persone.

Ieri in molti centri della Bekaa, a cominciare da Baalbek, erano state prese misure si sicurezza rigidissime e si teme che Beirut possa decidere la chiusura, almeno temporanea, delle frontiere rendendo impossibile ai tanti civili siriani di sfuggire alla guerra nel loro Paese.

Intanto l’Isis ha rivendicato, attraverso la sua agenzia di notizie, Amaq, l’attentato kamikaze che qualche giorno fa ha ucciso sei soldati in Giordania al confine con la Siria, nei pressi del campo di Rukban usato dall’esercito giordano per “ospitare”, in condizioni terribili, e interrogare i civili in fuga dalla Siria. In Giordania è in corso una dura campagna repressiva rivolta ufficialmente alla rete dell’Isis in espansione nel Paese ma che in realtà prende di mira anche l’opposizione islamista non legata al Califfato.