L’onda populista ed euroscettica si trasformerà in qualcosa di concreto nel parlamento dell’Unione europea? Le diverse anime della destra oltranzista sapranno superare le loro divisioni per «fare sintesi» in uno o più gruppi parlamentari? In attesa di numeri certi, e anche dalle estreme periferie dell’Unione, si possono avanzare alcune ipotesi concrete.

Con il suo boom elettorale, il Front National francese potrebbe portare in Europa fino a 25 deputati – in passato ne aveva solo tre, compresi i Le Pen padre e figlia -, vale a dire il numero minimo richiesto per la costituzione di un gruppo. Solo che, in nome della più ampia rappresentanza dei cittadini europei, le regole di Bruxelles chiedono anche che gli eletti che scelgono di “fare blocco” provengano da almeno sette paesi comunitari. E qui, per il progetto annunciato da Marine Le Pen alla vigilia del voto – riunire «le forze nazionaliste» europee -, cominciano i problemi.

Per quanto forte sia il vento populista, non soffia infatti ovunque con la stessa intensità. Tra gli alleati del Front National, con proporzioni ben inferiori alle stime della vigilia, erano dati oltre il 20%, ma si sono fermati al 12%, arriveranno in Europa i rappresentanti dell’olandese Partij voor de Vrijheid di Geert Wilders. Insieme a loro, gli eletti del Freiheitlichen Partei Österreichs di Heinz Christian Strache, stabili al 20%, gli Sverigedemokraterna, i Democratici Svedesi di Jimmie Akesson, in crescita, con oltre il 7% e la Lega Nord di Matteo Salvini con il 6%. All’appello rischiano invece di mancare gli xenofobi fiamminghi del Vlaams Belang che avendo ottenuto meno del 5% dei consensi rischiano di perdere il deputato europeo che avevano eletto nel 2009 e le due formazioni dell’est, il Partito nazionale slovacco e il Partito nazionale bulgaro che non hanno superato la soglia di sbarramento nei rispettivi paesi.

Su questa base, è chiaro fin d’ora che partiranno intense trattative con formazioni minori o con forze che sono espressione di una destra ancor più radicale o, al contrario, di istanze meno connotate ideologicamente. Perché, oltre ai movimenti che fanno riferimento a Le Pen, nel voto di questi giorni si sono affermati anche partiti che alla vigilia delle elezioni si sono detti indisponibili, per quanto spesso non troppo lontani dalla sua linea anti-immigrati, a siglare accordi con il Front National e che potrebbero ora puntare a loro volta a formare un gruppo unitario «a destra della destra», ma sganciato dalla maison Le Pen. Si tratta dell’United Kingdom Independence Party di Nigel Farage che avrebbe sfiorato il 30%, del Dansk Folkeparti, il Partito del popolo danese, primo partito di Copenhagen con più del 23%, della Nieuw-Vlaamse Alliantie, la Nuova alleanza fiamminga di Bart De Weaver, egemone nelle Fiandre dove ha ottenuto oltre il 32% (16% sul piano nazionale belga), del Perussuomalaiset, il Movimento dei Veri finlandesi di Timo Soini, che perde qualche punto ma supera il 13%, della Alternative für Deutschland che avrebbe raggiunto il 7% e del Partito dei cittadini liberi della Repubblica ceca, 6,5%.

Fuori quadro, sia i dati della destra radicale ungherese di Jobbik, al 16%, che della greca Alba Dorata, 9,3%, dei due partiti nazional-conservatori polacchi, il Prawo i Sprawiedliwosc, partito Diritto e giustizia di Jaroslaw Kaczynski, 31,8% – già alleato dei Tory britannici a Bruxelles -, e il Kongres Nowej Prawicy, Congresso nuova destra, 7,2%.